Karlovy Vary International Film Festival 2019: giorno 5
Oggi è la volta della Cina e di Cile-Argentina. In concorso al 54° Karlovy Vary International Film Festival il secondo film di Zhai Yixiang Ma sai ke shao nü (Ritratto a mosaico). Dopo This World Life (2014) il trentaduenne regista getta un nuovo sguardo sul suo paese in evoluzione dove la vita rurale e quella delle grandi città si assomigliano sempre di più, quasi a formare due mondi paralleli. In un villaggio visitato spesso da nebbia e pioggia, la quattordicenne Ying (Zhang Tongxi) confida al padre, emigrante appena tornato in paese, di essere incinta. A detta della ragazza, il padre del nascituro è un insegnante della scuola. La rivelazione manda il genitore su tutte le furie, e lo spinge a recarsi dal preside per ottenere spiegazioni e giustizia, ma viene respinto perché non ci sono prove evidenti. E dalla polizia è la stessa cosa. Non gli resta che rivolgersi alla stampa, che da Shenzhen gli manda un giornalista interessato al caso, Jia (Wang Chuanjun). Nelle sue indagini e nella ricerca di informazioni, Jia ottiene risposte vaghe: per l’unica certezza si deve attendere la nascita del bambino e l’esame del DNA.
Il film dura 107 minuti, descrive il progressivo disinteressamento del giornalista, gli incontri di Ying con coetanei in motocicletta e un piccolo furto di DVD, fino al trasferimento in città dove l’adolescente viene inserita in una nuova scuola. Scoprirà che anche lì i problemi sono gli stessi, e resterà traumatizzata dal suicidio di una sua recente amica. E’ evidente che il rapporto sessuale con una minorenne è soltanto l’occasione per mettere a fuoco comportamenti sociali, lo stato delle leggi e soprattutto le atmosfere della vita di una popolazione in rapida crescita economica. E quella che sembrava avviarsi come una detective story si diluisce nelle nebbie delle periferie di Guiyang.
Autore di alcuni corti, il cileno Felipe Rios esordisce nel lungometraggio con El hombre del futuro (L’uomo del futuro) novantasei minuti nella Patagonia cilena percorsa da camionisti che intraprendono lunghi itinerari affrontando freddo, vento e pioggia. E il paesaggio diventa l’anima dei protagonisti, persone sole che fanno della strada la loro casa. L’anziano Michelsen (José Soza) nel suo ultimo viaggio prima del pensionamento prende a bordo una giovane autostoppista che gli ricorda la figlia che non vede da tempo perché da tempo il lavoro lo ha allontanato da lei e dalla moglie. Pragmatico e taciturno, si sta dirigendo a sud dove si sta dirigendo anche la figlia, Elena, (Antonia Giesen), che tira di boxe e che si appresta ad affrontare un incontro prima di tentare la fortuna in Argentina. Anche lei in autostop, è stata accolta da un autista che scopre essere stato allievo del padre, del quale le tesse le lodi. Arrivano lo stesso giorno nella città dell’incontro, dove Elena sarà battuta da una sfidante molto più in carne, e dove il padre assisterà all’incontro. Sarà però l’occasione di una riunione, e forse di un addio perché la vita del vecchio Michelsen è agli sgoccioli. Il regista, 37 anni, nel suo raccontare pacato e muovendo pochi personaggi riesce a rendere la solitudine dei protagonisti, la lealtà e la dedizione al lavoro in un paesaggio sconfinato e mutevole. Destini legati a strade non sempre sicure, a incontri casuali e alla difficoltà di mettere radici che Felipe Rios affida anche ad attori quali Roberto Farìas e Maria Aiché.
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