Karlovy Vary International Film Festival 2019: giorno 3
Ancora due anteprime mondiali per il concorso ufficiale del 54° Karlovy Vary International Film Festival. Di scena il Belgio e la Turchia. Di lingua fiamminga De Patrick (Patrick) di Tim Mielants che esordisce nel lungometraggio dopo aver realizzato una decina di serie Tv negli ultimi sette anni. Novantasette minuti in un campo di nudisti tra i boschi, diretto da Patrick e dall’anziano genitore, tenuto in vita da una bombola di ossigeno e defunto dopo le prime scene. Patrick, mite e disponibile, si trova alla testa del campo insieme con la madre non vedente. E ce la potrebbe fare, ma la scomparsa di un martello dalla collezione della sua officina dove si diletta a progettare e costruire sedie genera paranoia. La ricerca dell’utensile diventa prioritaria. Il giovane non sembra prestare attenzione a strani accadimenti che potrebbero danneggiare la sua posizione e sorvola su fatti e notizie, da signore che lo trattano da stallone, alla scoperta della relazione del padre con un uomo, e persino un furto in cassa. Si spinge fino a Bruxelles per comprare il martello mancante, ma risulta fuori produzione. Allora intraprende ricerche e perquisizioni che mettono sottosopra la vita dei villeggianti. Arriva anche alle mani, e sono botte da orbi, fino a quando interviene la polizia che ha trovato il martello a Bruxelles, e lo trattiene perché considerato l’arma di un atto criminale. Interpretato da Kevin Janssens, il film è stato richiesto per partecipare al concorso del film più pazzo dell’anno. In realtà c’è molto senso in questa storia di una persona gentile e leale che si trova coinvolta negli intrallazzi di personaggi mediocri e superficiali. Patrick non è alla ricerca dell’arca perduta, ma soltanto di un martello, tuttavia la sua tensione morale lo cala in una tragicommedia in veste di paladino in difesa di antichi valori.
Küçük Seyler (La belle indifference) è il secondo film della trilogia del turco Kivanç Sezer. Dopo My Father’s Wings, il regista riporta l’obiettivo all’interno di una famiglia, questa volta di una giovane coppia, lei insegnante; lui, Onur, manager in una multinazionale. Si apre col colloquio tra Onur e il suo diretto superiore. Gli sta dicendo che non ha nessuna intenzione di licenziarlo, ma che una personalità come la sua è sprecata in quella posizione, mentre altrove potrebbe farsi valere molto di più. Purtroppo il giovane abbocca, e festeggia con la moglie la ventilata futura scalata al successo. Non è così. Da come è stato raggirato si deduce che non ha il senso della realtà. E in poco più di novanta minuti, il regista descrive una serie di rifiuti e il progressivo decadimento e imbarbarimento del giovane che sei mesi dopo la perdita del lavoro viene lasciato, e con ragione, anche dalla moglie. Ambientato in un moderno quartiere di recente urbanizzazione di Istanbul, il film mette in mostra una classe agiata e spensierata, incapace di affrontare la crisi. Lo fa attraverso un protagonista credulone e inadeguato che rende difficile pensare che sia stato un manager di un’importante società internazionale. Incaricato della vendita di nuovi medicinali, sembra sia stato allontanato per aver messo in commercio rimedi dai nocivi effetti collaterali. Al di là delle accuse, tuttavia resta il fatto che il giovanotto è fuori di testa e che l’assunto del film perde credibilità.
Scroscianti applausi invece per Pavarotti, il documentario di circa due ore che Ron Howard ha dedicato al nostro tenore, e che uscirà in Italia a ottobre. Su una sceneggiatura di Cassidy Hartmann e Mark Monroe, il regista ha documentato la vita e l’arte di un’icona del XX secolo mostrando la sua passione per l’opera e l’amore per le donne, il cibo, gli amici. Non un revival di romanze e di canzoni, che sono appena accennate per illustrare momenti specifici del successo, né un biopic, ma un’esaustiva raccolta di documenti che descrivono il percorso dell’artista dall’infanzia durante la guerra alla scomparsa prematura. E soprattutto una galleria di personaggi famosi, dalla principessa Diana a Nelson Mandela, da Spike Lee a Steve Wonder, e l’elenco non sarebbe mai completo, dai tre tenori a Pavarotti & Friends, che mostrano l’affabilità e l’empatia di un genio della lirica con gente semplice e con personaggi famosi. E come testimonia anche Bono, più che un documentario, il film sembra una dichiarazione d’amore.
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