Karlovy Vary International Film Festival 2018: giorno 6

Ultimi due film in concorso al 53rd Karlovy Vary International Film Festival, e poi un paio di giorni di quiete fino all’assegnazione dei premi sabato notte. Il trentacinquenne viennese Peter Brunner, figlio di uno psicanalista insegnante pittura terapia, vinse qui nel 2015 il Premio Speciale della Giuria per Coloro che cadono hanno ali. Oggi è stato presentato il suo film girato a New York, To the Night (Alla notte), interpretato da Caleb Landry Jones e Eléonore Hendricks.

  Va detto subito che alcuni critici hanno lasciato la sala dopo circa venti minuti di proiezione di un film che ne dura 102. In effetti, inutile cercare un racconto lineare in una vicenda che adombra di più i processi del subconscio che un’esposizione razionale dei fatti. Norman, painting performer dei nostri giorni, vive con la compagna Penelope e il figlio di pochi mesi in un grande studio alle porte di New York. Per essere più esatti: sopravvive. Infatti è dominato dal ricordo dell’incendio nel quale perì tutta la sua famiglia, e prova un senso di colpa che lo spinge verso il fuoco, quasi volesse annientarsi per redimersi da una colpa che non ha. Il regista dichiara di aver trovato ispirazione in una rappresentazione infernale di Hieronymus Bosch vista da ragazzo. Sulla scena, tuttavia, seguiamo intemperanze e litigi quotidiani tra lui che sembra dar fuori da matto e la compagna che vuol proteggere il bambino. E gli eccessi di alcuni amici punk, malati e disorientati. Dominato dal desiderio di darsi fuoco, Norman fa le prove. Alla fine restituisce lo studio al proprietario e parte con la compagna che lo lascia in riva al mare. Il film si chiude con l’artista, solo dinanzi alle onde, ma con una tanica di benzina.

  Santo Domingo e Spagna sono i paesi produttori di Miriam miente (Miriam mente), commedia adolescenziale diretta dalla dominicana Natalia Cabral (1981) e dal catalano Oriol Estrada (1983). Dopo due documentari, esordiscono nella finzione celebrando un’usanza molto diffusa nell’area dei Caraibi, la festa di compleanno dei quindici anni delle ragazze. Il rito di passaggio d’età è vissuto qui dall’interno di una famiglia benestante: una madre bianca separata dal marito di colore, e la figlia mulatta, Miriam. Alla festa, dove andrà vestita quasi da sposa, l’adolescente deve avere un cavaliere. Miriam è timida, passa molto tempo in piscina con l’amica del cuore, ma non ha contatti con i coetanei. C’è tuttavia Internet, e lei cerca un accompagnatore nel computer.

  E qui emerge l’altro tema del film. Dopo molte indecisioni, Miriam fissa un incontro all’acquario con lo sconosciuto e dice alla madre di non preoccuparsi: lei ha un boy friend, si chiama Jean-Louis ed è figlio dell’addetto culturale francese. All’appuntamento c’è folla, ma quando finalmente riesce a individuare il compagno, si nasconde e se ne torna a casa. E’ nero, e non saprebbe come dirlo a sua madre che si è sempre dichiarata contenta di aver divorziato. Per sviare le domande oppressive della madre e per sfuggire alla curiosità delle amiche, Miriam si finge malata. Tuttavia il giorno della festa si avvicina e incalzata dalla madre le da il numero di telefono del giovane. E arriva il giorno tanto atteso, con lustro di vestiti, musica e balli, e la madre è impaziente di conoscere il giovane. Che arriva, si rivolge a una bionda amica di Miriam che la indica con un cenno della mano, ma mentre lei abbassa la testa, quasi a volersi nascondere, lui, dopo un rapido sguardo, si gira sui talloni e se ne va. Commedia sentimentale di novanta minuti su turbamenti e tergiversazioni adolescenziali per far emergere la componente razzista che sopravvive in molti di noi.

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