Karlovy Vary International Film Festival 2018: giorno 3
In dodici anni di cinema il quarantenne rumeno Jude Radu ha girato decine di spot televisivi, corti e mediometraggi, e alcuni lunghi iniziando dal grande successo del 2009 La ragazza più felice del mondo. Oggi è stato presentato in concorso al 53rd Karlovy Vary International Film Festival il film di 140 minuti îmi este indiferent daca în istorie vom intra ca barbari (Non m’importa che la storia ci consideri barbari), una lunga, lenta e documentata disquisizione sul comportamento dell’esercito rumeno nel 1941 quando, alleato di Hitler, collaborò allo sterminio degli ebrei di Odessa.
Commissionato a un’attrice, Mariana, (Ioana Iacob), protagonista di diversi ruoli incluso quello di regista, uno spettacolo da allestire a spese del Comune sulla piazza principale della città. L’intento patriottico di celebrare la dedizione delle forze armate si scontra però con l’interpretazione di Mariana, giovane colta e indipendente, che dai testi ha appreso il coinvolgimento dell’allora maresciallo Antonescu, alleato dei nazisti, che fece sterminare dai suoi soldati 380.000 ebrei. E per supporto contro i negazionisti cita una lettera di Eichmann che rimproverava il maresciallo di eliminare troppo in fretta gli ebrei non lasciandogli tempo di seppellirli tutti.
Per circa due ore si direbbe un film parlato nel quale vengono registrati dialoghi, scontri dialettici e scambi di vedute, della giovane con un paio di intellettuali. Perché riesumare dopo tanti anni momenti infausti della storia del paese che vuole invece celebrare il sacrificio dei suoi morti? Lei asserisce che la verità va divulgata. Gli interlocutori suggeriscono di inquadrare il massacro accanto a massacri storici più ampi e più violenti, commessi non solo in Europa, ma anche in Africa e nel mondo. Mariana si scontra anche con alcune comparse che durante le prove si ribellano. Alla fine, tuttavia, lo spettacolo ha inizio, e una rappresentante del Comune lo inaugura con un breve discorso conciliante e patriottico.
Sulla piazza sfilano reparti nazisti, una formazione sovietica e un drappello di soldati rumeni. Selezionati con intenti ironico-satirici, tutti i militari sono fuori misura: alti e bassi, abbondanti e deperiti, barba e capelli incolti. Si scontrano sparandosi a salve. Un ufficiale rumeno declama tutto il male possibile degli ebrei, che vengono rinchiusi in una casa di legno, data alle fiamme tra gli applausi degli astanti. Mariana osserva incredula il pubblico che applaude tutti e tutto, persino l’incendio, perché non sembra percepire niente di ciò che lei voleva mostrare. Tutto fa spettacolo. Ciò che è stato è stato. Abbiamo trascorso una bella serata. E’ chiaro l’intento del regista nel mostrare una società che non distingue più tra vita reale e realtà virtuale, ma un po’ di sintesi non avrebbe guastato.
In concorso anche il film d’esordio, alla vigilia dei suoi cinquant’anni, del turco Ömür Atay, Kardesler (Fratelli). La presenza di un segreto, svelato nel finale, conferisce alla vicenda un minimo di suspense. Si apre con Yusuf, diciassette anni, appena rilasciato dal riformatorio e atteso dal fratello maggiore, Ramazan. Non sappiamo perché è stato recluso per quattro anni, né perché il fratello invece di portarlo a casa gli ha preparato una notte brava in un night-bordello per poi portarlo in un Motel accanto alla pompa di benzina dove lavora. Yusuf non parla, rifiuta la ”rimpatriata” e si lascia accompagnare al Motel. Il giorno dopo, l’incontro con la madre è freddo. La donna gli attribuisce un crimine che non ha commesso. Niente è esplicito, ma Yusuf intuisce chiaramente perché era presente al misfatto, ma non era lui il colpevole.
Interpretato da Yigit Ege Yazar, Caner Sahin, Gözde Mutluer, il film dura 103 minuti e mostra una società patriarcale nella quale è stato commesso un delitto d’onore. Le famiglie decidono tutto, e a volte ne fa le spese un adolescente innocente. Yusuf però non ci sta. Adombrando la decisione di Totò nel film di Rossellini Dov’è la libertà, il regista gli suggerisce di commettere un’infrazione che lo riporti al riformatorio dove si sente più protetto e più a suo agio con i suoi coetanei.
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