Il Seme dell'uomo: il rifiuto del corpo di procreare per Marco Ferreri

Nel 1969 Marco Ferreri dirige Il seme dell’uomo, un film fantascientifico nel quale dà un’immagine negativa dell’umanità, rea colpevole di una calamità che ha compromesso per sempre la vita sul nostro pianeta. I protagonisti della pellicola sono Cino (Marco Margine) e Doria (Anne Wiazemsky), giovani sopravvissuti alla fine del mondo che trovano rifugio in una casa abbandonata in riva al mare, a poca distanza dal relitto di una gigantesca balena bianca. Consapevole di essere l’unico uomo sulla faccia della Terra, Cino inizia ad allestire, giorno dopo giorno, un museo di cimeli e spoglie del recente passato fra cui: un giradischi a quattro velocità, una forma di Parmigiano, un orologio Piaget, un frigorifero Ignis a due sportelli, un televisore Brionvega, la carrozzeria di una 850 Fiat, una bottiglia di acqua di colonia, etc. La sua passione lo sprona a schedare qualsiasi frammento del quotidiano che gli capita accidentalmente sottomano. Diversamente da Cino, la donna mostra una certa noncuranza verso lo scopo che il suo amante si è auto-predeterminato, anteponendo al museo umili incombenze, quali provvedere alla casa e alla cucina.

Tutti o quasi i personaggi femminili di Ferreri tergiversano tra consenso e tassativo rifiuto riguardo alla procreazione di nuovi uomini. Il seme dell’uomo non fa eccezione, interrogandosi sul problema della riproduzione della specie. L’onere del “continuare a vivere per prolificare il genere” angustia Dora, riluttante di fronte all’idea di dare alla luce un figlio in un mondo dedito all’intrigo e alle barbarie: la protagonista ha ancora davanti agli occhi le orripilanti immagini diffuse dalla televisione sul recente annichilimento planetario. La decadenza dei costumi morali si annida in special modo nell’imposizione dettata dai membri della sedicente guardia civile il cui slogan è «Le donne devono essere fecondate». Dora cercherà con ogni mezzo di sottrarsi a qualsiasi coercizione connessa alla pianificazione delle nascite. A dispetto di quanto avveniva nel film L’ape regina, Dora ha spezzato le catene del conformismo civile e religioso, ragionando con la propria testa, anche a costo di privarsi dei piaceri della maternità nell’illusione di vivere con il partner in una sorta di Eden postatomico. Cino, al contrario, biasima quella che reputa una strana, inquieta e pur viva ritrosia nella donna, ricorrendo a ogni tipo di astuzia pur di divenire padre.

La situazione peggiora nell’istante in cui una donna sconosciuta (Annie Girardot) non più giovane irrompe sulla scena, fungendo da detonatore per la sopravvivenza della coppia. Dora la disprezza fin da subito, senza alcuna incertezza. Si tratta di significative figure della duplicità femminile: da un lato, Dora ossia il prototipo di un sentimento confuso di femminilità, dall’altro la straniera nella quale Cino scorge un barlume di luce per avverare finalmente il suo sogno. Una tale mancanza di freni morali in Cino può essere motivata dalla sua personale ossessione di diventare padre di una nuova, fanciullesca umanità. Perciò, una notte l’uomo presta fede alle lusinghe della donna e fa l’amore con lei. Il coito extraconiugale ha luogo nello stesso letto nuziale condiviso nel frattempo anche da Dora. Quest’ultima, pur essendo al corrente di quanto sta accadendo, rimane in silenzio. Il giorno seguente, le due antagoniste gettano via le rispettive maschere: nude traspaiono le vere espressioni d’animo di entrambe in una contesa all’ultimo sangue. La sequenza basata su un’alternanza di panoramiche circolari, campi lunghi e intensi primi piani ha un sapore bucolico screziato da una sfumatura acre. Le conseguenze impreviste del duello si dimostrano vantaggiose per Dora, che annienta la rivale: il cadavere della forestiera viene poi arrostito da Dora e dato in pasto a Cino, del tutto ignaro dell’accaduto.

Malgrado il suo tentativo di avere un discendente sia svanito, Cino continua a perseverare nelle sue scelte, anelando verso un inautentico progetto di vita. In seguito, il protagonista propina alla sua partner un potente narcotico. Grazie a questo stratagemma, il germe della vessazione maschile finisce con l’attecchire anche nel moderno paradiso terrestre. Il bambino inconcepibile è ora nel grembo di Dora, ancora ignara di essere in attesa del nuovo che avanza. Il mito dell’individualità, perseguito dalla donna con fare coscienzioso nello stato di diritto in cui vive, è stato insediato a tutto vantaggio di una società pervertita. Soltanto quando Dora inizia ad avvertire un senso di nausea e di lancinante dolore fisico, il suo compagno non indugia oltre, facendo trasparire tutta la soddisfazione per la sopraggiunta paternità («Ho seminato. Il seme dell’uomo ha germogliato. Tutti i figli, i figli dei figli, diecimila milioni di figli!»). L’avvento del frutto del peccato è solo la logica conseguenza dell’umana superbia, che getta Dora in uno stato di prostata afflizione. Inginocchiata per terra con la testa tra le mani Dora deplora il sacrilego atto. Eppure, danzando ebbro di felicità, Cino calpesta un residuato bellico tuttora funzionante: l’ordigno conflagrando squarcia la quiete di quel desolato ambiente. Una volta diradatasi la nube radioattiva, i postmoderni Adamo ed Eva non ci sono più, dissolti nel nulla.

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