Il Libro della Giungla – Lo stretto indispensabile
Quando nel 1894 Rudyard Kipling – all’età di soli 19 anni - scrisse The Jungle Book – seguito poi l’anno successivo da The Second Jungle Book - certo non avrebbe mai immaginato che il frutto della sua fantasia, poco più di ottanta anni dopo, sarebbe stato rappresentato da colorate immagini in movimento. Tanto meno avrebbe potuto prevedere che i due libri, scritti durante la sua cattività nel Vermont presso la famiglia della moglie, ivi costretto per motivi economici, avrebbero avuto ben 7 versioni cinematografiche, di cui tre in film animati (oltre le due versioni della Walt Disney del 1967 e del 2003, ve n’è anche una giapponese del 1989 dal titolo Jungle Book Shonen Mowgli) e quattro nella forma classica del cinema (1942, 1994, 1998) a cui si aggiunge l’ultima fortunata recentissima versione in live action, fresca vincitrice agli Oscar per gli effetti visivi.
Certamente, la versione più nota, quella che è rimasta negli occhi di milioni di bambini – e di adulti – è quella del 1967, partorita dalla Walt Disney e di cui oggi ricordiamo il cinquantennio.
Quattro anni prima la Disney aveva realizzato La Spada nella Roccia con risultati non particolarmente soddisfacenti. Lo stesso Disney imputò il parziale insuccesso alla sua scarsa partecipazione alla fase realizzativa (cosa che peraltro si era verificata anche con La carica dei 101 del 1961 che però riscosse maggior successo). Forse è anche per questo che nel 1964 Bil Peet, lo sceneggiatore di La spada nella roccia al quale inizialmente fu affidato lo script di Il Libro della giungla , abbandonò il progetto dopo che Disney gli imputò un eccesso di cupezza, chiedendogli un prodotto più adatto ad un pubblico composto da famiglie e relativa prole. Fu assunto al suo posto Larry Clemmons – che lavorò poi con la Company fino al 1981 sceneggiando, tra gli altri, Gli Aristogatti e Robin Hood) al quale Disney suggerì di non leggere il libro e di concentrarsi soprattutto sui personaggi. E, a ben vedere, fu quello che Clemmons fece. Non sappiamo, naturalmente, se davvero non lesse il libro; certamente, ad una attenta analisi del film, l’opera appare, più che una storia che si racconta, una parodia di personaggi le cui caratteristiche psicofisiche sono emblematiche di categorie morali e comportamentali. Ed è anche per questo motivo che l’attenzione che si riservò alla fase del doppiaggio fu inusuale. Non solo per la scelta di attori professionisti come Phil Harris (dà la voce a Baloo, nella versione italiana il decano dei doppiatori, Pino Locchi), ma anche per il metodo che fu adottato di far ascoltare le voci dei doppiatori ai disegnatori, al fine di ispirarli nelle loro creazioni. E il risultato fu il delineamento di personaggi le cui caratteristiche morali e psicologiche definiscono a tutti gli effetti dei veri e propri archetipi e le loro antitesi. Divertiamoci a descriverli sommariamente.
Baloo/Bagheera: entrambi gli amici più vicini a Mowgli, ma, se l’orso Baloo rappresenta l’avventura, l’anelito di libertà, la giovialità e la sfrenatezza di una vita vissuta senza regole e precetti per la quale bastano “un po’ di briciole” per essere felici, Bagheera impersona il buon senso, l’oculatezza dettata dal realismo, la prudenza e l’attenzione, la guida saggia e sensata che condurrà Mowgli verso l’unica soluzione che la natura del mondo concede;
Re Luigi/Colonnello Hathi: l’orango accecato dal delirio di potere è decisamente il simbolo del caos e del disordine, sono a testimoniarlo la sua dimora scalcinata e decadente, il suo aspetto sciatto, la sua aspirazione ad impossessarsi dei “segreti” dell’uomo; gli fanno da contraltare gli ordinati e disciplinati elefanti regolati in schiera militare dal Colonnello Hathi, ispirati da una militaresca marcia al ritmo della quale sono in perenne pattugliamento nella jungla;
Kaa/Hathi Jr.: Kaa, il pitone delle rocce, infido e doppio, serpente incantatore che ipnotizza il cucciolo d’uomo per divorarlo ha la sua positiva contrapposizione nel piccolo Hathi, amico disinteressato di Moogly con il quale dividerà la sua esperienza di piccolo elefantino in erba;
Mowgli/Shere Khan: nello scontro tra Mowgli, il cucciolo d’uomo e Shere Khan, la tigre assetata di vendetta, Kipling, probabilmente, anticipa una delle tematiche più al centro dei dibattiti dell’età contemporanea, quella dello scontro tra uomo e natura, tra progresso e difesa dell’ambiente. Shere Khan è il simbolo delle natura violata dall’uomo – a proposito, allevato emblematicamente da una lupa, come i gemelli Romolo e Remo, a ricordare che anche l’uomo fa parte e trova la sua genesi nel regno degli animali – di cui Mowgli rappresenta il futuro della specie. La vendetta cercata dalla temibile tigre è quella di una natura ormai soccombente alla razza umana che sempre più la domina, asservendola alle esigenze del progresso e del profitto. Shere Khan, dovrà quindi portare avanti fino alle estreme conseguenze la propria “missione”. Non c’è spazio per trattative o compromessi, il suo destino è ineluttabile.
In questo scenario, decisamente tetro e tenebroso, l’opera mitigatrice di Disney si vede soprattutto nell’utilizzo della colona sonora scritta nella parte strumentale da George Bruns e composta da otto brani cantati originali, sette dei quali dai fratelli Sherman e uno da Terry Gilkyson, l’autore della canzone più famosa Lo stretto indispensabile. Una citazione meritano i 4 avvoltoi (parodia dei Beatles che all’epoca furoreggiavano) che cantano a cappella Siamo Amici tuoi (a proposito, vi è una deliziosa versione dei “Neri per Caso”.)
Dal punto di vista tecnico, questo film rappresenta anche un momento di passaggio verso tecniche di animazione più moderne anche stilisticamente. I singoli disegnatori si occuparono ancora di intere sequenze e non furono dedicati ai singoli personaggi, come iniziò invece a farsi negli anni ’70, ma si abbandonarono le forme tondeggianti e rassicuranti di “Bambi” o “Dumbo” , orientandosi verso linee più acute e grezze nel tratteggio degli animali. Gli sfondi furono dipinti a mano mentre per i movimenti dei felini si iniziò ad usare la tecnica del live-action, come, anche se parzialmente, per i movimenti di Baloo. Insomma, come già in altri casi, il film fu anche un laboratorio per il futuro, principio che ispirò sempre Walt Disney il quale non assistette alla prima del film, la sera del 18 ottobre 1967.
Se ne era andato 10 mesi prima, il 15 dicembre del 1966. Lo stretto indispensabile.