I 40 anni dell’inguaribile 'Febbre del Sabato sera'
Il 16 Dicembre di quarant’anni fa usciva nelle sale statunitensi Saturday Night Fever di John Badham: e fu subito Disco-Music. Ma, oltre al mondo delle discoteche, quella che nel film veniva raccontata era una storia di emarginazione, dove il ‘sogno americano’ sembrava non essere destinato ai cosiddetti ragazzi di serie B: giovani che, privati di qualsiasi aspettativa a causa delle origini e del ceto sociale, vivevano ghettizzati in quartieri malfamati e fatiscenti. Certo, il mito del ballerino Tony Manero è fuori discussione, ma questo non fa de La febbre del Sabato sera una pellicola adatta esclusivamente ai ‘discotecari’.
Reduce da fine guerra in Vietnam, contestazione giovanile e ultimi echi hippies, nel 1977 il Paese a stelle e strisce scoprì lo sfrenato divertimento notturno a discapito dell’impegno politico. I fumosi Clubs Underground newyorkesi quali il Loft, il Thent Floor e il Flamingo - in cui la comunione offerta dal ballo incarnava la visione di ‘peace and love’ tanto anelata nei primi anni ‘70 - lasciarono dunque il posto al ritrovo più glamour, elitario e chic della ‘Grande Mela’: lo Studio 54. Leggenda vuole che il giorno della sua inaugurazione la ressa degli sgomitanti invitati fosse talmente numerosa che Warren Beatty, Cher, Woody Allen e Frank Sinatra non riuscirono neppure a infilare il naso al di là dello sfarzoso portone d’ingresso. In quel tempio lussuoso della music-dance i vip potevano sfoggiare eccentriche mises e lasciarsi andare a stravaganti comportamenti, come quello della trionfale entrata in pista di Bianca Jagger in sella ad un cavallo. Lì, nomi famosi come Andy Warhol, Salvador Dalì, Liza Minnelli, Yves Saint Laurent, Al Pacino, Liz Taylor, Bette Davis, Calvin Klein, Donald Trump, Mick Jagger e molti altri, trascorrevano allegre e trasgressive serate. In breve il locale si trasformò nel sancta sanctorum del jet set, del sesso libero e della cocaina, e la gigantesca decorazione che troneggiava nella sala centrale già la diceva lunga: una luna dal volto umano che inalava polvere bianca!
In quel simbolo della politica d’esclusione vigente allora in America, si inserisce il lavoro di John Badham che, focalizzandosi sulla vita degli esclusi, coniuga a perfezione il ritratto di una gioventù bruciata da discriminazioni economiche e culturali al boom della Disco-Music. Se rappresentare con semplicità un periodo storico non è facile, segnarlo è ancor più difficile, eppure, grazie a una narrazione fruibile ad ogni spettatore, e a un personaggio che creò una nuova moda di ballare e vestire, il regista anglo-americano porta a casa il doppio risultato. D’altronde, fosse anche per pura presa in giro, chi non ha mai imitato le mosse dell’italo-americano più “coatto” del cinema? La camminata molleggiata, i capelli cotonati, gli stivaletti con tacco 5, le camicie con colli larghi e lunghi aperte fino al petto e il completo bianco dagli immancabili pantaloni a zampa di elefante, hanno reso Tony Manero un personaggio indimenticabile, un’icona dei favolosi ultimi anni ‘70 : e qui entra in gioco John Travolta.
John Joseph Travolta, questo il suo vero nome, prima di essere scelto per il ruolo che gli aprirà le strade di Hollywood, era un 23enne poco conosciuto al grande pubblico, ma Badham, che lo aveva visto recitare a teatro, ne rimase talmente colpito che decise all’istante di affidargli la parte del protagonista. L’attore americano dimostrò grande serietà nell’affrontare il suo compito, non soltanto provando le coreografie per ben nove mesi e perdendo otto chili di peso, ma anche sopportando in silenzio l’enorme tristezza per la perdita della fidanzata, l’attrice Diana Hyland, mancata proprio durante le riprese. L'interpretazione gli valse la nomination agli Oscar e, pur non vincendolo, Travolta, con Tony Manero, marchiò un topos tuttora vigente: il “tamarro” da discoteca ripetuto in un’infinità di film, che ogni fine settimana è facile incontrare in luoghi più o meno ‘in’.
L’atmosfera che si respira ne La febbre del Sabato sera è quella torbida e scura dei rioni di Brooklyn, separati dalle ricche e luccicanti zone di Manhattan dal ponte di Verrazzano: 1600 metri impossibili da percorrere per chi, come Tony e i suoi patetici amici, non ha speranza di riscatto sociale. Per Manero, che lavora 6 giorni su 7 in un negozio di vernici e abita con la famiglia in uno squallido appartamento, l’unica rivalsa sulla triste routine quotidiana è l’arrivo del Sabato sera, quando nella moderna balera 2001 Odyssey si trasforma nel Re della pista. Fisicamente attraente, e orgoglioso della somiglianza con Al Pacino, il diciannovenne vive in attesa di quell'effimero momento in cui tutti gli occhi saranno puntati su di lui, soprattutto quelli femminili. E sarà proprio una donna, Stephanie Mangano, che lo porterà a rivedere il suo superficiale atteggiamento verso la vita. Il disagio giovanile, la voglia di emergere dei figli di immigrati, i conflitti familiari, il sesso, le droghe, i brani dei Bee Gees scandiscono il ritmo degli storici passi di danza ballati sotto i giochi di luci della strobosfera. E, da quel momento, il movimento Disco si convertirà in un fenomeno socio-culturale che muterà drasticamente lo stile di vita di un’intera epoca.
Per lungo tempo si è detto che il film fosse nato da un reportage giornalistico intitolato Riti tribali del nuovo sabato sera, scritto nel 1976 da Nik Cohn per il New York Magazine. Cohn si arricchì vendendo i diritti del suo articolo al produttore Robert Stigwood e la sua carriera prese il volo, ma a distanza di 20 anni si scoprì che le cose non erano andate esattamente in quel modo. In effetti il giornalista aveva inventato di sana pianta ogni parola del suo articolo, e questo perché non appena varcata la soglia del 2001 Odyssey, dove avrebbe dovuto reperire materiale autentico, restò sconvolto da un ubriaco che vomitò copiosamente sui suoi vestiti nuovi di zecca. Tornatosene a Manhattan, Cohn stabilì che quei luoghi non fossero adatti a lui, e d’impulso iniziò a scrivere una storia completamente inventata. Per quanto fosse dunque tutto falso, va comunque dato atto al reporter di aver creato una vicenda struggente, dove il sogno di trovare un posto al mondo in cui poter brillare di luce propria, non era poi così lontano dalla realtà.
La discoteca utilizzata nel set è invece davvero esistita, aveva lo stesso nome e si trovava al n. 802 della 64th Street di Bay Ridge. Nonostante fosse un locale piuttosto malmesso, frequentato dalle classi meno abbienti, vi si esibivano cantanti e band di culto, quali ad esempio i Tavares, i Trammps e Gloria Gaynor. Ristrutturato per l’occasione, un decennio dopo il 2001 Odyssey chiuse i battenti per cedere il posto allo Spectrum, un gay-bar in seguito demolito. Il pavimento a quadrettoni colorati finì all’asta nel 2005 e, malgrado l’uomo d’affari Vito Bruno se lo fosse aggiudicato per 6.000 dollari, il ‘dance floor’ giace oggi dentro scatoloni impolverati, in un magazzino di Staten Island, a causa di una battaglia legale tuttora in corso scoppiata tra Bruno e Jay Rizzo, il proprietario dell’edificio. L’abito bianco usato da Travolta, nel 1978 venne acquistato per 2.000 dollari dal critico cinematografico Gene Siskel, che diversi anni dopo lo affidò alla prestigiosa Casa d’aste Christie’s, la quale lo vendette a sua volta a un anonimo compratore al prezzo di 145.000 dollari. Un punto fermo, invece, è rimasto il rituale di scegliere con cura il proprio outfit prima di andare in discoteca: una prassi consolidata nel tempo e rafforzata dalle immagini dell’opera di Badham. Ma, in Italia, che accoglienza ottenne La febbre del Sabato sera?
Il film uscì da noi il 13 Marzo 1978, tre giorni prima del rapimento del leader della DC Aldo Moro. Il bel Paese non era più così bello, gli “anni di piombo” - espressione derivata dall’omonimo titolo della pellicola di Margarethe von Trotta del 1981 - avevano infatti coinvolto l’intera popolazione. P38, molotov, attentati terroristici, organizzazioni armate, manifestazioni, gambizzazioni nelle strade e stragi con decine di vittime innocenti riempivano le giornate degli italiani. E così, mentre sul grande schermo Tony Manero si dimenava nei suoi improbabili completini puntando il dito verso il cielo plumbeo, in Italia sorgeva il quarto Governo Andreotti; le Brigate Rosse sterminavano i 5 uomini della scorta di Moro – ucciso poi il 9 Maggio -; moriva Paolo VI; Giovanni Paolo I passava misteriosamente a miglior vita dopo soli 33 giorni di papato e alla guida della Chiesa cattolica veniva eletto il polacco Karol Wojtyla; Giovanni Leone si dimetteva e Presidente della Repubblica diventava Sandro Pertini. L’estremizzazione della dialettica politica, che si tradusse in violenze di piazza, spingeva inoltre i liceali a indire continue assemblee, e i ragazzi più grandi a occupare le facoltà universitarie. In quel clima di schizofrenia collettiva non erano molti i giovani che si muovevano a ritmo di I will Survive di Gloria Gaynor e I feel love di Donna Summer, ma con l’arrivo de La febbre del Sabato Sera tutto cambiò. Le radio, oltre a trasmettere le hit sanremesi E dirsi ciao dei Mattia Bazar, Un’emozione da poco cantata da Anna Oxa e Gianna di Rino Gaetano, cominciarono a riempire i loro palinsesti con la colonna sonora del film: Stayn’ Alive, How Deep Is Your Love, Night Fever, You Should Be Dancing, brani tutti dei Bee Gees, e l’intramontabile Disco Inferno dei Trammps. Le sale da ballo prolificarono a vista d’occhio e nel mondo del lavoro si fece largo una nuova figura professionale: il DJ.
Il caso buffo è che, in un Paese ormai anestetizzato all’orrore dalle continue immagini di morti ammazzati, si pensò bene di effettuare alla pellicola di Badham una serie di tagli ad alcune scene e dialoghi che avrebbero potuto turbare gli animi innocenti dei minorenni. E già, perché ascoltare la scandalosa parola “pompino”, era più immorale che osservare un ventenne col passamontagna impugnare la P38 a gambe divaricate e puntarla contro i poliziotti! Fatto sta che il film, nonostante fosse uscito nelle nostre sale ripulito dal peccaminoso linguaggio, fu vietato dalla censura ai minori di 14 anni. Ma lo si sa, i divieti sono il paradiso dei ragazzi, e in men che non si dica i cinema traboccarono di adolescenti adoranti Tony Manero. Il successo fu clamoroso, anche se divise in tre l’opinione pubblica. Da un lato c'erano gli ‘apolitici’, che non vedevano l’ora di scatenarsi in pista, dall’altro i ‘guerrilleros’, che correvano a guardare Ecce Bombo di Nanni Moretti facendosi beffe del ‘travoltismo’ e dei suoi seguaci, e nel mezzo i curiosi, che partecipavano alla lotta studentesca senza per questo vergognarsi della passione per la Disco-Music.
L’Italia era sì un Paese confuso, ma di una confusione partecipata, dove ognuno sentiva se stesso come una tessera di un puzzle in divenire. Cosa sia restato di quei favolosi/tremendi anni '70 non è facile dirlo, una cosa è però certa... a 40 anni di distanza, quella febbre frenetica del Sabato sera non accenna ancora a diminuire.