Festival & Cinema: il meglio del 2017 – Oh Mother!!!

Un’altra annata di cinema che se ne va, e come sempre siamo a fare i conti con la classifica delle cose più belle e significative di questi passati dodici mesi. Nonostante non sia facile ripercorrere con la memoria tutti i film visti, le pellicole transitate per i Festival, e le tante ore passate immersi nel buio della sala, stilare una classifica delle cose migliori non è poi così difficile per chi vi scrive perché, come al solito, basta dare una scorsa con particolare attenzione ai vincitori dei Festival e alla manifestazione dove convoglia il meglio del meglio e chi mi conosce, lo sa, Cannes è il mio porto franco, la mia ancora di salvezza in fatto di Cinema. E infatti anche a questo giro, tra critiche non proprio velate e un’annata definita un po’ fiacca (mah!), ancora una volta da lì arrivano le opere più imperdibili di questo 2017, anche se seguono a ruota molte altre opere validissime viste in altri lidi, e altri festival, senza dimenticare anche qualche piccola grande nota dolente. Ma vediamo nel dettaglio i dieci film di cui vi parlo in questa top “ten” di fine anno:

Menzione speciale (al negativo). Quest’anno per ribaltare gli schemi e fare una classifica ‘rivoluzionaria’ (nei limiti, s’intende) iniziamo dalla Menzione Speciale, ovvero quel film che è rimasto in testa a prescindere dalla posizione che può, o non può, occupare nella classifica. E per fare una cosa ancor più rivoluzionaria metterò nella menzione speciale di quest’anno niente di meno che il film che ho detestato sopra ogni cosa e su tutti i fronti: e non si dica che sono sempre troppo magnanima nei giudizi! Parliamo dunque di Mother! (il punto esclamativo, ci tiene a precisare il regista, è assolutamente indispensabile a spiegare il senso ultimo del film – il fatto che in molti di noi si stiano ancora domandando quale sia questo senso ultimo poco importa a quanto pare, ma vabbè, questa è un’altra storia!). Insomma, ho avuto modo di vedere l’opera ultima di Darren Aronofsky al Festival di Venezia 2017, ed era uno dei film più attesi da uno dei registi contemporanei più acclamati (al suo attivo successi come Requiem for a Dream, The Wrestler, Il cigno nero). Grandi aspettative totalmente disattese. La mia delusione è stata infatti totale e totalizzante, mentre il senso di malessere generato dall’inutile frastuono del film talmente alto da dovermi concedere una lunga pausa riflessiva – e d’aria – a fine proiezione. Perché? Semplicemente perché il film di Aronofsky maschera in una confezione “fracassona” una estrema pochezza di contenuti, spaccia un paio di simbolismi raffazzonati (associando il processo creativo dell’artista e quello della creazione biblica tout court) per un’opera di grandi congetture, e soprattutto nasconde dietro a un cast di nomi altisonanti (Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Michelle Pfeiffer, Ed Harris) la sostanziale carenza di idee – e soprattutto sviluppi - che dà vita a questo Mother! (Oh madre!). In sintesi, tanto rumore per nulla, anche se tirare in ballo Shakespeare per spiegare Mother! è tutto sommato abbastanza blasfemo. Tirando le somme, un film a dir poco inspiegabile, soprattutto nel senso che non si spiega come mai sia stato ‘partorito’ (un termine che uso non a caso), e che ha dalla sua molta presunzione, una irragionevole stima di sé, e di contro ben poco  da dare allo spettatore. Anche se, a onor del vero, in molti lo hanno trovato più che degno di nota. Ma sì sa, de gustibus…

Ma lasciamoci adesso alle spalle le note dolenti e andiamo invece a vedere la creme de la creme con i film miglior dell’anno.

Non prima di fare, però, anche una doverosa Menzione Speciale in positivo. Trattasi di Chiamami col tuo nome, tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman e a breve anche nelle nostre sale, opera ultima del nostrano Luca Guadagnino. La fotografia di uno stato di innamoramento e di una presa di coscienza emotiva che incarna a un tempo tutta la bellezza e il dolore di un sentimento assoluto e controverso come quello dell’amore inscritto nel passaggio all’età adulta. Due magnifici protagonisti (Armie Hammer e Timothée Chalamet), la scrittura precisa e delicata di James Ivory e la regia a tratti ‘incantata’ di Guadagnino fanno di Chiamami col tuo nome un’opera passionale e appassionata, una di quelle che vanno facilmente ad arenarsi nel cuore.

E ora vediamo la classifica:
Il settimo posto va a un film tutto sommato piccolo e imperfetto che ha però toccato il cuore, non solo mio ma anche del Torino Film Festival, il quale lo ha designato miglior film dell’edizione 2017. Don’t forget me del regista iraniano Ram Nehari, tenero e sincero, è un piccolo viaggio nel mondo dei disturbi visti come mezzo di fuga dal dolore, e per questo un film assai importante, simbolico, che ci sentiamo di promuovere nonostante le sue piccole imperfezioni.

Sesto posto ex aequo per il Detroit di Katheryn Bigelow, la quota rosa di questa classifica, artefice di un film potente di denuncia, e per lo psichedelico e lisergico Good time dei registi Ben e Joshua Safdie, con un sorprendente e originale Robert Pattinson. Il primo è un cinema muscolare, potente e dinamico, in pieno stile Bigelow, mentre il secondo una vera sorpresa che arriva da due registi giovani e ancora poco sconosciuti ma dimostratisi abilissimi nel realizzare un film di grande ritmo, e che vede Pattinson forse per la prima volta in un ruolo davvero a fuoco, e di grande rilievo umano.

Al quinto posto ancora un film visto a Torino, anche se trattasi di altro ripescaggio da Cannes caldeggiatomi tra l’altro da fidatissimi colleghi, ovvero The Florida Project di Sean Baker e con un imperdibile Willem Dafoe. Una sorta di avventura escapista osservata attraverso uno sguardo conciliante ed ad altezza bambina; uno sguardo scanzonato che incrocia le storie multiple e di drammatica marginalità in una periferia americana di alloggi popolari, e una Florida che appare disneyana solo nei sogni. Davvero folgorante!

Per il quarto posto assegno ancora un pari-merito, e ancora a due film provenienti dai Festival di quest'anno (Cannes e Venezia). Closeness dell’esordiente regista russo ventiseienne Kantemir Balagov, allievo di Sokurov, un’opera prima con qualità da vendere, e il Mektoub, My Love: Canto uno di Abdellatif Kechiche (La vita di Adele), una “pastorale” travolgente cristallizzata nello straordinario uso di un tempo del reale. Due film assai diversi per contesti e contenuti, una gelida Russia di adolescenti con oneri gravissimi da una parte e una costa francese scanzonata e libertina vissuta al grido di voglie e aspirazioni dall’altra, eppure due film accomunati da un uso simile del reale, declinato anche nell’utilizzo peculiare dei tempi narrativi e dello spazio dedicato alla scena. Due opere “in piena”, dove non esiste lo scarto e dove ciò che accade ingloba campo e fuoricampo del discorso narrativo. Travolgenti!  

Al terzo posto di quest’anno troviamo non un terzo posto qualsiasi ma un Signor terzo posto, ovvero la Palma d’Oro 2017 del festival di Cannes. The Square di Ruben Ostlund (regista già acclamato qualche anno fa per il suo Force Majeure, letteralmente una ‘valanga’ di film) è una di quelle opere che ‘ti vengono a prendere’, che ti sorprendono, e in cui tutto ciò che sembra chiaramente sopra le righe assume a un certo punto un connotato di plausibilità dai risvolti agghiaccianti. Ruotato attorno al simbolo di un’opera d’arte votata alla fiducia e all’altruismo, The Square agita invece al suo interno tutte le forme di razzismo e ghettizzazione più macabre finendo per crocifiggere al suo gioco sadico un po’ tutti, protagonista in primis. Film concettuale e di raffinati simbolismi, questo The Square dell’oramai acclamato regista svedese è però un film che cattura anche grazie a una regia acrobatica, incalzante, dove il mulinello degli ‘imprevisti’ si associa da un certo punto in poi anche al movimento vorticoso di ciò che si vede in scena. Dalla conferenza ‘interrotta’ a suon di parolacce e Sindrome di Tourette a una serata di gala deturpata dall’uomo-primate e dal suo crescendo di violenza, The Square disseziona la società bene nei suoi privilegi, lasciandoci con i brandelli di una gloria smarrita, e a riflettere su quanto sia facile, banale, e repentino ritrovarsi da un lato o dall’altro del banco dei privilegi. Un regista sempre più interessante per un film senza dubbio da non perdere.

Il secondo posto di questa top annuale va invece a un film che è stato colpo di fulmine di un’altra rassegna, quella lagunare, ovvero il Festival di Venezia 2017. Stiamo parlando di Tre manifesti a Ebbing, Missouri, del regista inglese Martin McDonagh con protagonista una straordinaria Frances McDormand senz’altro a caccia di premi. Il corto circuito generato in una polverosa cittadina del Missouri dal gesto folle e disperato di una madre rimasta senza figlia (uccisa barbaramente), rappresenta graficamente (si tratta di tre enormi manifesti pubblicitari con su riportate denunce a dir poco ‘forti’) e moralmente il veicolo per analizzare l’economia ideale e morale di una piccola società, i mali che la attraversano, le identità che la costituiscono. Il prete, il poliziotto, il vicino, l’amico. Tracciando un discorso organico su personaggi per certi versi archetipici, McDormand muove una denuncia forte e ineludibile all’ipocrisia e sordità delle realtà sociali e umane, inclini a ‘lascia correre’ a meno che il male non le venga a cercare nel loro giardino. Altro film cruento che esercita una leva incredibile sulla (nostra) riflessione morale, gettandoci in faccia un male che avremmo voluto (o voluto far finta di) non vedere. “Stuprata mentre moriva”  è una delle scritte che campeggiano sui tre cartelloni del titolo. Opera dissacrante che si avvale di una sceneggiatura magistrale e mostra l’altro lato dello sciacallaggio mediatico della cronaca nera, ovvero l’urgenza di condivisione e di ‘diffusione’ da un lato e la perdita totale di aderenza alle ‘regole’ ritenute tali da parte di chi è vittima di un’ingiustizia così tremenda e di una perdita così totale. Magistrale!  

E arriviamo infine al numero uno, senza se e senza ma. Loveless di Andrej Zvjagincev, premiato a Cannes 2017 con il prestigioso Premio della Giuria, e candidato russo agli Oscar 2018, è un film che ha messo quasi tutti d’accordo, ha fatto di strage di cuori, e ha consacrato il nome di un regista che fino a ora era ancora poco noto anche se già acclamato per Il ritorno e Leviathan. Le qualità tecniche e contenutistiche di quest’opera sono indubbie, come indubbio è lo strascico d’angoscia che il film lascia addosso ben oltre i titoli di coda. La Russia contemporanea, gelida, vuota, e anaffettiva che fa da sfondo alla misteriosa scomparsa di un adolescente è infatti un tripudio di malessere e dolore da cui non si esce facilmente. Società sconfitte dai loro stessi non-sentimenti  si agitano nel silenzio asfissiante di una natura che inghiotte tutto, e l’opera quinta di questo regista conquista senza dubbio alcuno il gradino più alto del podio migliori film 2017. Non poteva essere altrimenti!

Sicuramente è una classifica parziale e tante cose belle le avrò scordate o smarrite per strada, ma in questi titoli ci sono racchiuse alcune delle emozioni più forti provate quest’anno e seduti al cospetto di quell’incantamento chiamato Cinema!

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