Danny Boyle, il regista che ha diretto sua maestà la regina d'Inghilterra
Ha da poco compiuto 60 anni ma non li dimostra affatto, parola di chi lo ha incontrato in occasione della presentazione italiana dell'attesissimo T2:Trainspotting. Abbigliamento semplice, occhialetti inconfondibili, un sorriso affabile e contagioso e una parlantina inarrestabile.
Danny Boyle non fa parte della santissima trinità hollywoodiana, Spielberg-Coppola-Lucas, ma chi vi racconta di lui ha scritto una tesi, ormai undici anni or sono, sulla sua filmografia e c'è chi, durante la suddetta conferenza stampa, si è alzato in preda all'emozione dichiarando di volere, come me, scrivere la propria tesi su quel pacato signore.
Mica per niente, è il regista di Trainspotting, cult del 1996 di cui sta per uscire il sequel, ha realizzato The Beach, sorta di mantra per la generazione dei backpackers che hanno fatto della Thailandia l'agognata meta della propria esistenza, ha diretto uno tra i migliori film degli ultimi anni sugli zombie, ovvero 28 giorni dopo e, non contento, si è aggiudicato l'Oscar con il suo bellissimo The Millionaire.
Di tesi ne merita ben più di due. Anche solo per il suo innovativo stile di regia: Danny Boyle infatti è uno che ama esplorare le infinite possibilità del suo mezzo: dalle inquadrature ai movimenti di macchina, dai freeze frame al dolly zoom, ognuno dei suoi film è caratterizzato da un impianto tecnico-visivo originale e accattivante. Lui va oltre la sceneggiatura, la fa sua e la sublima con il suo personalissimo stile, confezionando il prodotto in maniera di volta in volta differente e ammaliante.
Danny Boyle ha anche la dote di essere un vero talent scout: è infatti colui che ha lanciato Ewan McGregor nel firmamento hollywoodiano e che ha fatto lo stesso, anni dopo, con Cillian Murphy – protagonista di 28 giorni dopo e Sunshine, diventato poi il cattivo del bellissimo Batman Begins, tra gli altri – e Dev Patel, quest'anno candidato all'Oscar come Migliore attore non protagonista per Lion.
Insomma, è lungimirante, vede del potenziale in attori che poi spiccano il balzo verso la celebrità e sceglie con cura i progetti che porta sul grande schermo, vedi l'entusiasmante 127 ore, candidato a sei premi Oscar, con un eccezionale James Franco, o Steve Jobs, basato sulla biografia autorizzata di Walter Isaacson, grazie al quale Kate Winslet portò a casa il Golden Globe e il BAFTA come Migliore attrice non protagonista.
Ma chi c'è dietro a quegli occhiali e a quel sorriso un po' timido? C'è un uomo assai discreto: nato a Manchester da una famiglia di migranti irlandesi, studia in un collegio salesiano e poi alla Bangor University, inizia a lavorare nel teatro a 18 anni e successivamente fa il grande salto nel mondo della televisione, collaborando con la BBC Northern Ireland e la BBC2. Nel 1994 debutta al cinema con Piccoli omicidi tra amici, una commedia nera assai interessante ed avvincente – con Ewan McGregor come protagonista - che ottenne un gran successo in Gran Bretagna e il premio come “Best newcomer” dai London Film Critics Circle.
Due anni dopo arriva la consacrazione con Trainspotting, cult assoluto che lo fece conoscere anche al di fuori del suo paese, in cui racconta il mondo della droga visto attraverso i quattro protagonisti, gli indimenticabili Renton, Spud, Sick Boy e Begbie, nomi entrati nell'immaginario collettivo.
Mantenendo Ewan McGregor come protagonista, nel 1997 Boyle realizza la commedia Una vita esagerata, con Cameron Diaz accanto all'attore scozzese: il film fu un flop nonostante il soggetto intrigante ma come tutte le opere del regista, presenta una serie di trovate stilistiche alquanto interessanti.
Il 2000 è l'anno di The Beach che, nonostante le critiche negative, diventa, come precedentemente detto, il film per eccellenza della generazione di viaggiatori e avventurieri che mirano all'Asia come meta ultima del proprio percorso formativo. E' anche l'anno della rottura tra il regista e il suo beniamino poiché gli studios scelsero al suo posto il volto fresco di Leonardo Di Caprio, idolo delle giovani dopo Titanic e Romeo+Juliet. Ma di acqua sotto ai ponti ne è passata tanta e i due si sono rappacificati: il risultato è ben visibile al cinema dove presto approderà il tanto atteso T2: Trainspotting.
Nel frattempo, dopo un trascinante trio di commedie nere e un viaggio alla ricerca di sé in isole nascoste, Danny cambia totalmente genere e gira 28 giorni dopo, con Cillian Murphy, un horror che racconta la terribile epidemia di rabbia che ha colpito la Gran Bretagna, in seguito alla quale gli infetti sono diventati veri e propri zombie assetati di sangue umano. Le riprese della Londra deserta – miracolo della tecnologia - sono a dir poco strabilianti e il film, per gli amanti del genere, è tra i migliori degli ultimi anni.
Ma l'amore per la tematica legata alla borsa piena di soldi, già presente nei primi tre lungometraggi, torna con Millions, deliziosa commedia con protagonisti due fratelli che trovano appunto una sacca piena di banconote: quello che parla con i santi – in una serie di esilaranti sequenze - vorrebbe donare tutto ai poveri mentre l'altro, più scaltro e pragmatico, immagina come spendere le 250 mila sterline prima che arrivi il fantomatico Euro. Pochi forse lo hanno visto ma merita davvero perché è un racconto delicato e ironico, perfettamente incastonato nella filmografia del regista.
Altro giro, altra corsa: è il 2003 e Danny Boyle realizza Sunshine, grande produzione fantascientifica (la prima e ultima del regista che con questo genere, così faticoso, non vuole più avere nulla a che fare), la storia, ispirata alla teoria della morte termica dell'universo, racconta l'impresa dell'astronave Icaro II che, a causa del progressivo spegnimento del sole, si reca nello spazio per lanciare una bomba nucleare che riattivi la stella principale del sistema solare. Accolto bene dalla critica, il film fu sostanzialmente un omaggio all'intramontabile 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, cui Boyle si era già ispirato per Trainspotting.
Nel 2005 il regista cambia nuovamente genere – del resto è tra i più versatili cineasti del panorama contemporaneo – e realizza The Millionaire che porta a casa ben otto statuette tra cui quella per il Miglior Film e la Migliore Regia. Un tipico film made in Bollywood con tanto di costumi, musiche e danze indiane, che ritrae la realtà locale mescolandola con la contemporaneità dei programmi televisivi a premi. Un successo mondiale, entrato anch'esso a far parte dell'immaginario collettivo. Perché Danny Boyle è meno prolifico di tanti colleghi ma lascia il segno. Come del resto fa con il suo successivo lavoro, il sopra citato 127 ore, basato sulla storia vera di Aron Ralston - autore del libro Between a rock and a hard place, su cui a sua volta si è basata la sceneggiatura -, in cui James Franco interpreta un alpinista che, in seguito ad un incidente, si ritrova con un braccio incastrato sotto un masso ed è costretto ad amputarlo per tornare in superficie. Svariate nomination agli Oscar e ai Golden Globe e ben tre persone svenute in sala per la cruenta scena dell'amputazione. Lascia il segno eccome Danny Boyle!
Non pago dei successi accomunati, Danny Boyle è stato anche il direttore artistico della Cerimonia di apertura dei Giochi della XXX Olimpiade di Londra, anno di grazia 2012, per la quale ha realizzato un cortometraggio intitolato Happy and Glorous, con protagonisti l'agente 007 Daniel Craig e sua maestà, la Regina Elisabetta II. Tanto di cappello. Discreto, mai sui rotocalchi ma alla faccia di tutti i colleghi più famosi, la regina d'Inghilterra l'ha diretta solo lui!
L'anno seguente, il regista britannico più acclamato degli ultimi anni insieme al collega Ken Loach, vira verso il thriller e dirige In Trance, con un trio di tutto rispetto composto da James McAvoy, Rosario Dawson e Vincent Cassell. Anche in questo caso fioccano candidature a numerosi premi che spianano la strada verso il bellissimo Steve Jobs, con Michael Fassbender e Kate Winslet, lei, come già accennato, vincitrice di Golden Globe e Bafta come Migliore attrice non protagonista. Ritratto autentico ed emozionante di un uomo che, nel bene e nel male, simpatico o antipatico che fosse, ha cambiato la vita a milioni di persone.
L'ultimo film del regista del Lancashire, chierichetto per otto anni, futuro prete, almeno nei più reconditi desideri dei suoi genitori, è T2:Trainspotting, presentato alla 67a edizione del Festival di Berlino: a vent'anni precisi dal primo, intramontabile cult, i quattro tossicodipendenti più bizzarri della storia del cinema tornano sul grande schermo con un carico di risate e riflessioni sullo scorrere del tempo e il regista, ancora una volta, si cimenta magistralmente con la macchina da presa, regalando un'esperienza visiva davvero elettrizzante.
Ma Danny Boyle non è solo cinema e lungometraggi, prova ne siano il suo acclamato spettacolo teatrale basato sul Frankenstein di Mary Shelley, con Johnny Lee Miller e Benedict Cuberbatch ed il cortometraggio Love Triangle, con niente meno che Kenneth Branagh.
Nonostante il suo nome sia ormai noto in ogni parte del globo, non è un gran frequentatore di riviste scandalistiche: è stato con una vecchia compagna di università diventata poi attrice, ha trascorso 20 anni insieme alla direttrice di casting Gail Stevens da cui ha avuto tre figli, è stato legato per circa due anni all'attrice Rosario Dawson e nulla di più traspare della sua vita privata. Discreto ed anche estremamente modesto, Danny Boyle ha infatti affermato di amare i grandi film come Apocalypse Now e Il Gladiatore ma di ritenersi migliore nel dirigere piccoli film. Nel corso degli anni 2000 è stato fortemente smentito. Di grandi film ne ha fatti eccome: grandi nel budget e grandi nell'accoglienza presso il pubblico. Gli altri sono piccoli gioielli rimasti incastonati nella memoria di chiunque ami il cinema, il tipico humour nero britannico e la continua voglia del regista di esplorare i confini della tecnica e delle riprese.
Come britannico è orgoglioso della cultura pop, in particolare della musica, della quale inserisce campioni sempre nuovi e significativi in ognuno dei suoi film: estremamente versatile, Boyle si è cimentato con svariati generi perché, dice, “il cambiamento ti mantiene brillante”. Novità e sperimentazione sembrano dunque essere le principali cifre stilistiche di Danny Boyle, un autore che tutti, nel corso degli anni, per questo o quell'altro lavoro, abbiamo imparato ad amare.
Del resto è uno che come massima di vita ne ha scelta una di Albert Einstein: “ci sono due maniere di affrontare la vita: una è pensare che i miracoli non esistono, l'altra che la vita è tutta un miracolo”. Non a caso, la maggior parte dei suoi film sono un vero e proprio inno alla vita. Chi lo segue dai suoi esordi, continua a rimanere ogni volta sorpreso. Non resta che invitare i neofiti a riscoprire la sua intera filmografia.