Dal 28/6 al 6/7 torna il Karlovy Vary International Film Festival 2019: giorno 1

Il 54° Karlovy Vary International Film Festival è stato inaugurato con l’assegnazione del Globo di Cristallo a Julianne Moore, protagonista insieme con Michelle Williams di After the Wedding, diretto da Bart Freundlich. Film d’apertura ispirato a Bird Box della regista danese Susanne Bier, narra di una giovane americana che dirige un orfanatrofio a Calcutta. Rimasto senza fondi, Isabel è costretta a tornare a New York per vagliare l’offerta di una donna che dirige un impero di pubblicazioni. Invitata al matrimonio della figlia della donatrice, scopre che è sposata con l’uomo che l’ha lasciata e che indirettamente ha provocato la sua fuga in India. Incentrato su accuse e rivendicazioni, il film non vanta meriti particolari eccezion fatta per la strabiliante interpretazione di Julianne Moore.

Passando ai film in concorso nella sezione ufficiale c’è stata un’interessante apertura col film spagnolo La virgen de agosto di Jonas Trueba. Dura poco più di due ore e si svolge a Madrid nella prima quindicina di agosto. Scandendo giorno per giorno le vicissitudini di Eva (Itsaso Arana), il regista mette a fuoco il periodo più caldo dell’anno e quello più ricco di feste e di festival: San Cayetano, San Lorenzo, l’Assunzione, tanto per citarne alcuni, in un momento in cui i madrileni abbandonano la città che viene invasa dai turisti. Eva, trentatré anni, si è appena installata nell’appartamento centrale di un conoscente che è dovuto partire. Non ha alcun programma. Deve superare l’estate e inventarsi un modus vivendi. Lunghi relax a casa, visite ai musei, cinema, e feste all’aperto di notte e con tanta musica. Curiosa e disponibile, incontra vecchi e nuovi amici, e coetanee dalla vita interessante. Il film decolla lentamente: dai primissimi giorni di adeguamento al clima torrido a curiosi sodalizi che sembrano aprirle nuovi orizzonti, e a riflessioni sulla maternità. Tutto in quindici giorni scanditi come anni di formazione in una commedia imbastita di piccole trasgressioni e di qualche spunto divertente. Jonas Trueba, 38 anni e alla sua quinta regia, ha sceneggiato il film con l’attrice Itsaso Arana.

Hong Khaou, britannico di origini vietnamite, nasce in Cambogia nel 1975, (l’anno della sconfitta Usa), durante la fuga dei suoi genitori. A sei anni sbarca nel Regno Unito. Una trentina d’anni più tardi decide di tornare in Vietnam nel tentativo di ritrovare le radici in un paese del quale ha completamente dimenticato la lingua. Ma c’è anche un’altra ragione: vuole incontrare il fratello per decidere dove deporre le ceneri dei genitori. E ora da quella vicenda ha tratto un film, il suo secondo lungometraggio, Monsoon. Si apre con una ripresa aerea del centro di Ho Chi Minh City su un caotico traffico di motociclette, quindi appare il protagonista (Henry Golding) che si reca dal fratello. Accolto lietamente dalla famiglia alla quale reca alcuni doni, l’ospite andrà poi in un moderno albergo. Durante 85 minuti la cinepresa segue i movimenti del giovane mostrando squarci della città, dai nuovi grattacieli alle distese di abitazioni fatiscenti, e illustrando anche un incontro gay. Quello della deambulazione diventa il leit-motiv, ma anche il tessuto del film, sicuramente molto più interessante nelle intenzioni del regista che nella realizzazione filmica. Lui dichiara: “Il tema unificante del mio lavoro è l’identità culturale, irrinunciabile quando scrivo. Se uno è un rifugiato ed è costretto a espatriare, è costantemente combattuto dal sentimento di non appartenenza a un luogo o a un paese”.

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