Conosciamo la redazione: i migliori film del 2018 secondo Daniele Sesti - Le sette bellezze e una delusione annunciata

Sette bellezze da vedere e rivedere tra le quali spicca il film di Alfonso Cuaron. Fin dal suo primo vagito, il cinema è stato innovazione e ricerca. La novità di questi ultimi anni è stata la produzione di pellicole da parte dei grandi network televisivi. Nel 2018, questa evoluzione (involuzione per molti), è giunta a compimento con la vittoria a Venezia di Roma del regista messicano, prodotto e distribuito da Netflix, che dopo un rapido passaggio in sala, ha reso disponibile il film sulla propria piattaforma. Un segno dei tempi al quale dobbiamo aderire senta troppe ortodossie anche perché Roma, è un film ricco di poesia e ben venga che raggiunga più cuori possibile! 

Lazzaro felice di Alice Rohrwacher: perché se il cinema è anche poesia, il cinema di Alice Rohrwacher ne è una delle espressioni più liriche e commoventi. I suoi personaggi sembrano usciti da un’arcadia fuori dal tempo, un mondo di maschere gentili e innocenti che sfilano come ombre cinesi camminando sul labile confine che divide sogno e realtà. E’ un film struggente e delicato come una stoffa pregiata di cui anche l’odore ci inebria.

Bohemian Rapsody di Bryan Singer. E dunque, finalmente un film musicale in cui  la tirannia delle immagini cede il passo alle canzoni. Sì, alle canzoni, il mezzo espressivo più evocativo che esista. Sì, la biografia di Freddie Mercury ha il suo peso, ma di storie di rock band e delle traviate vite dei loro componenti ne abbiamo viste a bizzeffe al cinema. Il film di Bryan Singer ha il pregio di mettere al centro la musica e con quella dei Queen, praticamente impossibile da inquadrare in un genere ed ancorare ad un’epoca, si vince facile. Il film convince e commuove. Preparate i fazzoletti.

Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson. L’eleganza è anche un filo nascosto che Paul Thomas Anderson e Danny Day Lewis tessono con fili preziosi lambendo i  territori dei sentimenti che rischiano di rimanere sotto la superfice, senza affiorare, senza esplodere in una supernova di amore. I ritmi lenti e compassati, in questo film, sono camere d’oro d’argento che riempiono gli occhi e la mente. Un film, da amare e da studiare.

Roma di Alfonso Cuaron. Il realismo di Cuaron è qualcosa che spezza il cuore e l’anima. Il bianco e nero è l’arma impropria con la quale colpisce le coscienze dello spettatore. E non importa se ciò accade in una sala cinematografica, o, seduti sul divano di casa, davanti ad uno schermo, in streaming. La storia che si racconta in questo film, è la quotidiana vicenda dell’uomo, delle sue piccolezze e delle sue viltà. L’ordinario si fa arte nelle mani del regista messicano, e il suo film al femminile ti rimane attaccato come un’accusa alla quale non sai rispondere.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh. Film al femminile anche quello diretto da Martin McDonagh ed interpretato da Francis Mc Dormand, alla quale è ormai difficile coniare nuovi termini per decantarne la bravura. Il personaggio disegnatole addosso è una maschera da tragedia greca, dogmatica, paradigmatica, integra e marmorea. A differenza invece dei personaggi che le ruotano attorno, costretti dal destino e dagli eventi a rapportarsi con la ferrea volontà della protagonista, ed a cambiare la loro vita per sempre.

Dogman di Matteo Garrone. Basterebbero le inquadrature dei luoghi in cui questo film è girato per consigliarne la visione. Luoghi che non fanno solo da sfondo della truce storia che si racconta ma che diventano quasi essenziali nella evoluzione drammatica del film. A questo si aggiunga la faccia ed il fisico di Marcello Fonte, il canaro, figura mitologica e leggendaria delle cronache nere del secolo passato, solo nella terra di nessuno, la sua rabbia di generazioni senza volto e soprusi secolari. Il risultato è un film dalle mille letture, venato da un’intrinseca vena di amara poesia.

L'ora più buia di Joe Wright: perché per capire chi siamo e dove andremo, è bene interrogarsi e capire cosa è successo nei momenti più cruciali del nostro passato. L’ora più buia racconta proprio questo. Cosa sarebbe successo se l’odioso, spocchioso, antipatico per antonomasia (Gary Oldman è tutto ciò e molto di più) avesse  abdicato alle sue prerogative e avesse scelto la via più facile e meno dolorosa di una pace con il mostro nazista? E’ la domanda che aleggia per tutto il film, realizzato con grande bravura da Joe Wright, un maestro nella ricostruzione delle epoche storiche. Un film essenziale, soprattutto in questi tempi altrettanto bui dove qualcuno sembra essersi dimenticato l’orrore della belva nazifascista.

La forma dell'acqua di Guillermo Del Toro. Storia para fantastica (quante ne abbiamo viste? Quante ancora dovremo vederne? Quanto ancora dovremo sopportare le suggestioni paranoiche dei vari Tim Burton, Terry Gilliam - anche se il suo L’uomo che uccise Don Chisciotte uscito quest’anno non era niente male - ?. La favola fantasy in tempi di guerra fredda è noiosa e scontata ed anche un tantinello morbosetta. L’ibrido accoppiamento finale mi ha lasciato un senso di fastidio a suggello di un’opera, a mio parere, sopravvalutata.

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