Conferenza stampa: The Hateful Eight
“Io tendo ad essere trascinato da un genere, ma c’è anche un altro aspetto relativo al fatto che non riuscirei mai a fare tutti i film che vorrei, quindi, alla fine ne faccio cinque dentro uno solo. Io come amante del cinema tendo a rispondere a quei film che sono a cavallo su più generi e credo di avere un po’ questa dote di saperlo fare. A volte, mi lascio un po’ trascinare da quella che è la storia, a volte, invece, a sceneggiatura finita vengono fuori elementi a cui non avevo pensato prima, su cui non avevo riflettuto. Ovviamente, quando ho iniziato questo film sapevo che volevo realizzare un western con dentro un giallo alla Agatha Christie, ma, alla fine, mi sono reso conto del fatto che avevo anche realizzato un horror e non posso che dichiararmene felice”.
Così, dopo il duplice trionfo agli Oscar di Django unchained (2012), aggiudicatosi l’ambita statuetta per la migliore sceneggiatura originale e per il miglior attore protagonista Christoph Waltz, l’enfant terrible di Hollywood Quentin Tarantino parla del suo ritorno al genere western con The Hateful Eight (2015),che, ambientato quasi del tutto all’interno di una stazione di posta per le diligenze mentre fuori nevica violentemente, ha presentato alla stampa romana, in compagnia degli attori Michael Madsen e Kurt Russell e del compositore della colonna sonora Ennio Morricone, il quale ha dichiarato: “Bisogna notare che nella musica originale drammatica che ho scritto qui sfugge, forse, qualcosa: la caratterizzazione di certi brani è sulla timbrica di determinati strumenti, iniziano due fagotti, poi continuano la tuba e il controfagotto, le trombe e le voci di uomini, tutte mie caratteristiche, ma mai usate in altri film”.
Un lungometraggio girato in Ultra Panavision 70 – che consente di vedere costantemente sia il primo piano che ciò che accade sullo sfondo – e i cui protagonisti, praticamente, giocano una partita a scacchi con se stessi; man mano che la tempesta di neve diventa minacciosa con l’avanzare delle tenebre, come se fosse un mostro che attende soltanto di divorarli.
Infatti, se da un lato ha spiegato che la sequenza che preferisce di Uomini selvaggi (1971) di Blake Edwards - film che non ama particolarmente – è quella del poker, dall’altro l’autore di Pulp fiction (1994) non ha potuto fare a meno di riconoscere similitudini tra la sua opera e il fantascientifico La cosa (1982): “Diciamo che il film può ricordare quello di Carpenter a causa del paesaggio innevato e del fatto che abbiamo alcuni personaggi in una stanza, ognuno dei quali non può fidarsi dell’altro. Un altro collegamento, però, può essere dovuto al fatto che ho sempre pensato a questo film come ad una versione western de Le iene, che era profondamente influenzato da La cosa. Quindi, possiamo considerare The hateful eight un La cosa western”.
E, se Russell si è detto estremamente felice di essere stato in due film di Quentin Tarantino, due musicati da Ennio Morricone e cinque diretti da John Carpenter, non ha dimenticato neppure di osservare: “Quello che mi è sempre piaciuto dei film di Quentin Tarantino è che cerca sempre di tessere una ragnatela. A me è piaciuto molto interpretare un personaggio che rappresenta qualcosa che riguarda proprio gli Stati Uniti, l’America. Il mio personaggio, John Ruth, penso voglia onorare una sorta di pietra miliare del sistema giudiziario americano, ovvero dare a tutti la possibilità di avere la propria giornata in tribunale davanti al giudice, anche alla persona più piccola e insignificante”.
Sebbene il cineasta – che non ha neanche dimenticato di precisare che il fatto che vi sia tanto accanimento nei confronti della prigioniera dipende proprio dall’atteggiamento del boia (Kurt Russell) e che gli piaceva l’idea che fosse una donna a complicare la storia del film – abbia in parte smentito: “Non so se questo film può applicarsi alla storia come potevano esserlo i due precedenti, Django unchained e Bastardi senza gloria. Quando mi sono accinto a scriverlo, non era politico, lo è diventato quando i personaggi hanno cominciato a dialogare e discutere su quello che era il clima post-bellico della Guerra civile. Poi abbiamo iniziato a girare e, nel corso dell’anno, si sono verificati tanti eventi che apprendevamo dai notiziari e che hanno reso il film sempre più pertinente alla realtà”.
Appoggiato in buona parte anche da Madsen: “Io credo che i film di Quentin possano essere considerati da due diversi punti di vista: politico e di intrattenimento. Credo che già ai tempi de Le iene e Kill Bill vi fossero connessioni con ciò che accadeva la realtà e che essi abbiano trovato soluzioni a problemi meglio di come questi vengono gestiti dai media. Concludo dicendo che mio padre, che purtroppo ci ha lasciati a Dicembre, non sempre apprezzava i film che facevo, ma questo avrebbe voluto davvero vederlo”.
Mentre non è mancato l’intervento di Raffaella Leone della Leone Film Group che presenta la pellicola – distribuita da 01 Distribution a partire dal 4 Febbraio 2016 – insieme a Rai Cinema, la quale, affiancata dall’entusiasta fratello Andrea, ha riferito: “Riuscire a portare questo film in Italia senza che venisse fagocitato da una major è per noi una enorme soddisfazione. Spero che tutta questa nostra passione venga ripagata dal suo successo, perché è un film geniale come tutti i suoi, io sono malata per Tarantino. Forse perché c’è tanta similitudine con mio padre, non solo per quanto riguarda i film. Quentin mi ha raccontato che durante le riprese dice spesso ‘Datemi un’inquadratura, datemi una Leone’. Sono sicura che anche mio padre, se oggi fosse vivo, direbbe ‘Datemi un Tarantino’”.
Solo per consentire al genio cinematografico originario di Knoxville di chiudere divertito: “Aggiungo che la scena in cui Kurt e Jennifer vanno verso Michael Madsen a vedere le catene e tutto il resto la chiamiamo ‘Il punto di vista di Sergio’”.