Conferenza stampa: La macchinazione

“Diverse volte mi hanno proposto di interpretare film su Pier Paolo Pasolini, ma li ho sempre rifiutati perché non mi piacevano. Avendomelo proposto David, questo l’ho accettato subito, perché lui è un amico fraterno, non potevo dirgli di no, ci conosciamo da quasi quarant’anni. Però avevo paura, perché si tratta di un personaggio molto complesso e, non a caso, ho cominciato ad andare sul set una settimana dopo l’inizio delle riprese, in quanto sono finito preda di una febbre psicosomatica. Su questa vicenda, comunque, anche io, come un comune cittadino italiano, vorrei sapere la verità”.

In occasione dell’arrivo nelle sale cinematografiche de La macchinazione di David Grieco, distribuito da Microcinema a partire dal 24 Marzo 2016 e riguardante i retroscena relativi alla morte del cineasta Pier Paolo Pasolini avvenuta nel Novembre del 1975, a parlare è il protagonista Massimo Ranieri durante l’incontro con la stampa a Roma, dove sono intervenuti anche parte del cast e il regista; il quale, oltre a precisare che quello di Giorgio Steimetz – personaggio interpretato da Roberto Citran, assente in conferenza – è uno pseudonimo inventato e non si riferisce a Corrado Ragozzino come molti hanno erroneamente pensato, ha dichiarato: “Secondo me, questo film avrebbero dovuto girarlo nel Dicembre del 1975. È un film di pancia su un intellettuale molto complesso e non sarebbe stato possibile se non lo avesse finanziato Marina Marzotto, oggi qui con noi e alla sua prima produzione; ma vorrei aggiungere che per me è stato fondamentale scriverlo insieme a Guido Bulla, il quale, purtroppo, non c’è più. Io ho perso un amico, quasi un fratello, il cinema uno sceneggiatore che avrebbe fatto ancora molte cose”.   

Film per il quale, a quanto pare, la band inglese dei Pink floyd ha concesso la propria musica facendo spendere il meno possibile alla produzione soprattutto perché riguardante Pasolini, e nel corso di cui Ranieri pare sia riuscito ad avere un rapporto molto tenero con il giovanissimo co-protagonista esordiente Alessandro Sardelli nel ruolo di Giuseppe Pelosi, guardandolo proprio come l’autore di Accattone guardava quest’ultimo.

Il Sardelli che, ora diciottenne, considera Franco Citti il più grande attore del mondo tanto da averlo come immagine sulla sua pagina Facebook e che, attualmente impegnato a diplomarsi presso l’istituto tecnico, ha raccontato: “Interpretare questo film è stata un’esperienza che mi ha coinvolto, mi ha molto cambiato e fatto maturare; avevo solo sedici anni quando l’ho girato, ancora non capivo benissimo cosa stessi facendo. Io, poi, non ho mai fatto scuola di recitazione”.

Una delle tante “facce da pischelli” procurate dallo storico agente Antonio Spoletini e che affianca nel lungometraggio sia Matteo Taranto nella parte di Sergio, sorta di “rubagalline” rappresentante la bassa manovalanza della malavita facendo un po’ da PR tra le classi dirigenti e la delinquenza, sia Libero De Rienzo, il quale, a proposito del suo Antonio Pinna, ha osservato: “Il mio personaggio è stato prima uno strumento della Banda della Magliana, poi di questo delitto. Io, di mio, ho messo un’incoscienza criminale, ho letto solo le parti che dovevo fare senza conoscere tutta la macchinazione. Volevo interpretare la parte con una certa innocenza”.

E, se da un lato Grieco non ha mancato di precisare che i cinquant’anni di strategia della tensione hanno procurato tremilacinquecento vittime – tra cui molti poliziotti onesti e magistrati – come il duplice attentato terroristico dell’11 Settembre 2001, dall’altro non ha potuto fare a meno di ricordare: “Di tutte le sciagure avvenute in Italia in questi ultimi cinque decenni, il delitto Pasolini è quella su cui sono state diffuse più fandonie; tra le molte, il fatto che, secondo Pelosi, Sergio Citti fosse cocainomane ed avesse rubato lui il negativo di Salò o le 120 giornate di Sodoma per procurarsi la roba. Tutta falsità, Citti sbevazzava soltanto, non prendeva droghe, le odiava”.

Non poco fondamentale, infine, è stato l’intervento dell’avvocato Stefano Maccioni: “Dal punto di vista giudiziario, avevo cominciato a chiedere di riaprire le indagini nel 2009. Questo film ha il merito di cambiare l’opinione pubblica nei confronti del delitto Pasolini, da sempre considerato semplicemente un omicidio a sfondo sessuale”.