Conferenza stampa: Il ministro
“L’idea di scrivere questo film mi è venuta mentre ascoltavo in automobile Il Re fa rullare i tamburi di Fabrizio De André, un brano considerato secondario, ma che mi ha sempre affascinato tantissimo. La canzone racconta la frustrazione di un marchese che viene invitato a corte dal Re per una festa, durante la quale il sovrano si incapriccia della moglie del nobile. E, poiché non può dire di no a Sua Maestà, il marchese si trova costretto a concedergli la moglie. Non ho cercato di fermarmi sulla corruzione, ma sulla cornice. Se ognuno di noi avesse un amico potente come il ministro che vediamo nel film, siamo sicuri che sarebbe disposto a comprarselo? Io non credo, anche perché, in parte, mi sono trovato in una situazione del genere quando lavorai per un produttore che aveva amicizie potenti ma che, appunto, cadde in disgrazia dopo la loro caduta. Non è per piangersi addosso, ma in Italia non lavori se non hai un amico potente. Le distribuzioni cinematografiche, per esempio, non ti rispondono o tengono in considerazione neppure quando ottieni il riconoscimento d’interesse culturale dal ministero, come avvenuto con il nostro film. Per fortuna, ho trovato un angelo come Lucy De Crescenzo, la quale ha creduto in me; perché, altrimenti, in Italia il cinema è fattibile solo se puoi permettertelo e se ci metti tanta passione”.
Autore dei thriller Circuito chiuso e The stalker, Giorgio Amato apre così la conferenza stampa romana per la presentazione della sua black comedy Il ministro, in uscita il 5 Maggio 2016 per Europictures e per scrivere la quale ha avuto come modello di riferimento I mostri di Dino Risi, con particolare riferimento all’episodio L’educazione sentimentale che vide insieme Ugo Tognazzi e l’allora bambino figlio Ricky.
Del resto, dichiara che gli piace pensare proprio che sia quel ragazzino oggi cresciuto l’imprenditore sulla bancarotta interpretato nel suo film da Gianmarco Tognazzi, il quale rimarca la piacevole esperienza vissuta sul set insieme all’Edoardo Pesce che – scelto su oltre cinquanta attori e presentatosi al casting senza preparare nulla in particolare – doveva rappresentare la voce della pancia della gente.
Un Edoardo Pesce il cui ruolo, in realtà, doveva essere inizialmente affidato al Fortunato Cerlino (assente all’incontro come pure Jun Ichikawa) poi calato nei panni del ministro del titolo, che non manca di mettere gli occhi addosso alla domestica di colore del protagonista, incarnata dalla Ira Fronten che racconta: “Il mio è stato uno dei primi personaggi della pellicola che Giorgio aveva pensato ed è rimasto sempre quello. Sono arrivata in Italia con un curriculum importante, che, poi, però, si è azzerato e ho dovuto ricominciare tutto da capo. Quando mi ha detto che ci sarebbe stata una scena importante in cui dovevo far vedere qualcosa di mio, ho detto ‘Qui bisogna fa er mejo’”.
Tra l’altro, pare sia stata proprio della Fronten l’idea di introdurre la ragazza orientale nella storia, insieme alla quale affianca il terzo elemento femminile dell’operazione: la moglie dell’imprenditore cui concede anima e corpo una Alessia Barela entrata in corsa nel lungometraggio e che ricorda di aver avuto soltanto quattro giorni e mezzo per preparare il personaggio, oltre ad ammettere che non sembra un lavoro concepito in sole tre settimane e con pochi mezzi.
Un lavoro di cui il regista – che non dimentica di ribadire come basti leggere le intercettazioni telefoniche degli ultimi scandali per capire chi siano oggi i nuovi mostri – pone in evidenza il fondamentale apporto degli attori perfino nelle piccole sfumature, tanto da essersi potuto permettere di montare quasi sempre il primo ciak grazie alla loro bravura; ancor prima di rivelare: “Da sceneggiatore, assorbo tutto quello che vedo e ne faccio tesoro. Molti riferimenti fanno parte del cinema con cui sono cresciuto. Poi, credo che in un film la tensione sia fondamentale e nasce già dal testo, quindi si è avvantaggiati nel rappresentarla”.
Ed è già il citato Tognazzi – a quanto pare impegnato anche in una sequenza di abuso sulla Fronten poi tagliata dal montaggio finale – a concludere divertito: “Questo film secondo me si potrebbe portare al teatro. Comunque, ha una visione che non è né maschilista, né femminista, parla semplicemente di sei persone di merda. Riflettiamoci”.