Cinelatino: appunti da Toulouse - parte prima

A CINELATINO, 30es rencontres de Toulouse, un originale film brasiliano in concorso: Mormaço (Afa ) di Marina Meliande, nata a Rio de Janeiro nel 1980. Dopo studi in Francia nello Studio National de Arts Contemporains Le Fresnoy e dopo due film diretti insieme con Felipe Bragança, realizza un film di 94 minuti  interpretato da una giovane avvocatessa. Nella nuova città in costruzione alla vigilia delle Olimpiadi non c’è posto per gli ultimi inquilini di un grande condominio che i poteri locali vogliono abbattere. Ana, però, ha deciso di difendere le ragioni dei più deboli e in un’estate particolarmente afosa attraversa le strade di Rio per convincere i poteri forti sui diritti dei condomini.

  Per sfuggire alla soffocante calura si concede anche una nuotata in uno stagno. E non le giova. Presto, infatti, nota sulla pelle macchie scure e un forte prurito che la convincono a recarsi da un dermatologo. Per il medico è un’infezione che sfugge alle sue conoscenze, e la pigmentazione aumenta mentre Ana intreccia una relazione con un giovane tecnico che dovrebbe sostenere i demolitori ma che s’innamora di lei. Quando, non mantenendo le promesse fatte all’avvocatessa, il sindaco manda la polizia per far sloggiare con le armi gli inquilini, Ana è completamente ricoperta di piaghe e sente  che sta morendo. Anche le pareti dell’appartamento cominciano a trasudare e a coprirsi di croste, e nel finale la lotta di classe che ha segnato i principali passaggi della vicenda sfocia in una sorta di realismo magico che ben s’intona col destino del popolo carioca.

  Dal Brasile anche un film della sezione Découvertes Documentaire, Baronesa di Juliana Antunes che si svolge nella Rio delle favelas. Tra documentario e finzione, il film descrive durante settanta minuti la vita quotidiana di Andreia e Leidiani. La prima ha il marito in carcere e si occupa dei suoi due bambini, la seconda è single e sogna di trasferirsi in una zona fuori città, Baronesa, dove è possibile costruirsi una casa lontano dalla bolgia delle favelas. Popolato di donne e di bambini, il film mette a nudo la vita di due amiche che si confidano miserie e inganni illustrando lo stato di frustrazione, le violenze subite e la pericolosa convivenza in un universo circoscritto dove le vittime sono spesso bambini innocenti. E dal linguaggio nudo, politicamente non corretto delle due donne, si ha una visione cruda e credibile degli ultimi di Rio de Janeiro.

  In concorso l’opera prima di un giovane regista di Porto Rico, Alvaro Aponte-Centeno che ha studiato a Cuba alla Scuola di Cinema di San Antonio de los Baños. Finzione con momenti di film documentario, El silencio del viento, descrive l’attività convulsa di Rafito e della sorella Kairana che via mare fanno entrare in Porto Rico emigranti della Repubblica Dominicana e li nascondono in una casa di campagna prima di consegnarli ai loro contatti. Quando Kairana viene trovata morta, Rafito dovrà elaborare il lutto con la figlia adolescente e con la vecchia madre malata. Ciò che lo affligge di più, tuttavia, è l’impotenza di fronte alla morte misteriosa della sorella. Ciononostante il lavoro deve continuare, e il regista mostra la difficoltà di introdurre clandestinamente emigranti spesso malati e a volte privi di contatti locali con persone che possano ospitarli. E nell’ultimo viaggio, giovani disperati si azzuffano a bordo e fanno naufragare il natante. A Rafito non resterà che tentare di salvare la pelle. Con passaggi filmati quasi in tempo reale, particolarmente nella descrizione del naufragio, il film sembra proporsi come testimonianza di un’attività illecita e diffusa, ma non mancano momenti che adombrano il tentativo del film d’autore, soprattutto nell’impiego della musica.  

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