Cannes 2016 nel segno di Ken Loach: trionfano etica, amore e solidarietÃ
Chiude il sipario sul Festival di Cannes 2016 e si tirano le somme su un’edizione che su carta partiva potente e che non ha deluso le aspettative.
Tanti grandi registi si sono avvicendati per una dozzina di giorni nella prestigiosa cornice della Croisette, per presentare opere attesissime, spesso celebrate ancor prima della loro proiezione in sala. Ci sono stati gli applauditissimi (Ken Loach, Cristian Mungiu, Jim Jarmusch, e il sogno americano infranto dell’American Honey della regista Andrea Arnold celebrato con il Premio della Giuria), e i fischiatissimi (Sean Penn e il suo The Last Face su tutti). Ci sono stati i compresi (il solito veneratissimo Xavier Dolan, la povertà endemica narrata dalla Ma’ Rosa del filippino Brillante Mendoza che vince il Premio per la Miglior Interpretazione Femminile, e la riflessione sul cambiamento nonché parabola di vendetta messa in scena dal sempre lodevole iraniano Asghar Farhadi, in Le Client, che torna a casa con ben due premi: Miglior Interpretazione Maschile al protagonista Shahab Hosseini e Miglior Sceneggiatura), e gli incompresi o non del tutto compresi (La fille inconnue dei Dardenne, la Julieta di Almodovar e soprattutto il Personal Shopper di Olivier Assayas - stroncato quasi all’unanimità dalla critica e che in barba ai detrattori si porta a casa ex aequo con Mungiu - Bacalaureat- il Premio per la Miglior Regia). A margine ci sono stati poi anche la psichedelia degli eccessi del The Neon Demon di Nicolas Winding Refn (che ha ipnotizzato, confuso ma anche in buona parte convinto) e il tocco “fuori concorso” di magia e fantasia portato da Il Grande Gigante Gentile di Steven Spielberg (cha arriverà nelle nostre sale a Gennaio 2017) e la goliardica simpatia dei The Nice Guys di Ryan Gosling e Russell Crowe diretti da Shane Black.
Un altro mondo è possibile
Ma in un Festival dalle tematiche “militanti” che ha parlato di morale (del lavoro ed educativa), stati ‘assenteisti’, esistenze alla deriva, identità complesse, lotte di ogni tipo, dolore e sacrificio umano, a trionfare infine sono stati i valori di una società rilanciata al positivo, mossa dal vento di cambiamento di una nuova primavera.
Trionfa infatti l’etica controversa e irrisolta che (dai Dardenne ma soprattutto dal Bacalaureat di Mungiu) ha descritto protagonisti smarriti tra il concetto esasperato del ‘fare la cosa giusta’ e le irreversibili conseguenze causate da un agire poco meditato nel proprio contesto, perseguito senza la giusta visione d’insieme. E trionfa l’amore, quello raccontato trasversalmente tra madri e figli o tra adolescenti outsider (rispettivamente dai nostrani Bellocchio, Virzì e Giovannesi passati tutti per l’importante vetrina collaterale della Quinzaine des Réalisateurs), quello geometrico, poetico, fatto di coincidenze e ripetizioni descritto da Jim Jarmusch nel suo originalissimo Paterson (che non porta a casa nessun premio, ma beneficia comunque dell’apprezzamento festivaliero) e, ancora, l'amore saffico con venature thriller della Mademoiselle di Park Chan-Wook e, infine anche quello negato, doloroso e sofferto narrato dall’enfant prodige Xavier Dolan che anche quest’anno sorprende e destabilizza e ottiene un personale riconoscimento con il Gran Prix grazie a il suo Juste la fin du monde, fotografia cupa e senza luce di affetti primari mutati in veleno, trasformati senza ritorno in disfunzionalità affettiva.
In ogni caso, a dominare su tutto e tutti sono l’impegno sociale, l’amore disinteressato che fa rima con senso di solidarietà e lealtà incarnato dal bellissimo I, Daniel Blake del maestro Ken Loach. Il regista britannico punta ancora una volta i riflettori su un nerbo scoperto e attualissimo della società (inglese e non solo), facendo emergere la distanza siderale tra lo stato ‘assenteista’ e il valore umano di cittadini mirabili, ancora disposti ad aiutarsi e volersi bene senza una ricompensa, senza un motivo, per pura pietas o senso civico. Concetti e valori in via d’estinzione che rinnovano l’impegno civile di un cineasta formidabile, uomo di sensibilità rara, artista come pochi che attraverso una carriera di titoli che dai tempi di Cathy come Home, Un bacio appassionato, La Canzone di Carla, ha raccontato gli ultimi e la loro lotta per la vita, i diritti, la libertà.
I, Daniel Blake, Palma d’oro del Festival di Cannes 2016 e seconda personale di Loach in pochi anni (vinse anche dieci anni fa con il meraviglioso “Il vento che accarezza l’erba”), descrive un’altra tragica e bellissima pagina di questa lotta, di questo moto di resilienza e solidarietà che tutti noi dovremmo in qualche modo scegliere, perseguire, abbracciare. Trionfa quindi Ken Loach e assieme a lui trionfano l’etica, l’amore, la responsabilità e la solidarietà che uniti fanno la forza, insieme lottano per (e in) questo mondo libero…
(Foto: Carlo Andriani)