50 anni dall’allunaggio: il cinema che ha conquistato la Luna
Sono trascorsi 117 anni da quando la Luna entrò a risplendere nel mondo del cinema, eppure, quella fascinazione verso il nostro satellite continua tuttora a incantare sia registi che spettatori. Fin dai suoi albori la Settima Arte ha narrato e divulgato storie inerenti all’astro argentato: racconti immaginari o reali, drammatici o comici. Sarà forse perché la Luna è sempre stata lassù, lontanissima ma ben visibile all’occhio umano di generazione in generazione, fatto sta che il cinema ci ha aiutati a ‘sentire’ e a evocare ciò che soltanto 12 uomini poterono davvero vivere tra il 1969 e il 1972. Citare l’intera cinematografia dedicata alla Luna sarebbe un’impresa comunque titanica, ed è per questo che ci limiteremo a ricordare qui solo poche opere, alcune delle quali realizzate prima dell’allunaggio e altre prodotte dopo il ‘69.
Prima dell’allunaggio:
A meritare il posto d’onore in questo breve excursus cine-lunatico non può che essere Viaggio nella Luna (Le Voyage dans la lune, 1902) di Georges Méliès. Considerato il primo vero film di fantascienza della storia del cinema, questo capolavoro di circa 15 minuti mostra la spedizione lunare di sei astronomi che, a bordo di una navicella a forma di proiettile, vengono ‘sparati’ sulla Luna da un gigantesco cannone. I viaggiatori, una volta sbarcati, incontreranno i Seleniti e verranno fatti prigionieri, ma riusciranno in breve tempo a fuggire e a far rientro sulla Terra, accolti da onori e festeggiamenti. La scena dell’arrivo sull’astro, con la buffa astronave che si conficca nell’occhio di una Luna tratteggiata a somiglianza di volto umano, entrerà di diritto nell’immaginario collettivo, diventando una tra le sequenze più iconiche della Settima Arte. Costata allora l’esorbitante cifra di 10.000 franchi e ispirata al romanzo Dalla Terra alla Luna di Jules Verne, la pellicola fu girata dal regista francese inanellando una dopo l'altra inquadrature fisse, e, nonostante ciò, grazie a prodezze tecniche, effetti speciali, magia e infinita poesia riscosse un così enorme successo da divenire oggetto di accuse di plagio e contraffazione, e persino di lunghe battaglie legali per la proprietà dei diritti d’autore. Sì, perché Thomas Edison, il famoso inventore statunitense nonché proprietario della Motion Picture Patents Company, dopo aver inviato dei suoi agenti a Londra con lo scopo di ottenere 'di straforo' un duplicato de Le Voyage dans la lune, ne fece poi stampare centinaia di copie per proiettarle a New York, senza, ovviamente, pagare un centesimo a Méliès. Ma il “Giotto della Settima Arte”, come il cineasta d’oltralpe fu definito dal grande critico cinematografico Georges Sadoul, già nel 1898 aveva diretto un cortometraggio con la Luna che vi appariva da coprotagonista, La lune à un mètre: tre minuti di puro spettacolo all’interno di un osservatorio astronomico in cui uno scienziato verrà preso di mira dagli scherzetti dell’astro birichino.
Sempre restando nel periodo del cinema in bianco e nero e del muto, i film di maggior interesse sono due: The First Men in the Moon (1919, primo adattamento cinematografico di un romanzo del celebre scrittore di fantascienza H. G. Well) diretto da Bruce Gordon e J. L. V. Leigh, e Una donna nella Luna (Frau im Mond, 1929) di Fritz Lang. Se della pellicola del 1919 non sono rimasti che pochi fotogrammi, sufficienti tuttavia a comprendere una matrice più ‘moderna’ rispetto alla produzione di Méliès, di quella del Maestro tedesco, tratta da una storia scritta dalla moglie Thea von Harbou, ne è invece restato l’intero metraggio. Della durata di 156 minuti, l’opera di Lang si concentra sul viaggio spaziale intrapreso da quattro uomini, più una donna e un bambino, che vanno ad esplorare le miniere lunari, considerate più ricche di quelle terrestri. Per Una donna nella luna, ultimo lavoro muto del filmmaker austriaco, Lang si avvalse della collaborazione di due esperti della missilistica dell’epoca, Hermann Oberth e Willy Ley, che per l’occasione costruirono un modello di razzo e ne calcolarono addirittura le possibili traiettorie di volo: fu così che per la prima volta venne presentato al pubblico in sala un film costruito sui fondamenti scientifici dei viaggi spaziali su razzi. In alcuni articoli di giornale si sostenne che nel 1936 la Gestapo avesse distrutto i progetti di Oberth e Ley perché troppo simili a quelli reali di futura fabbricazione. Ora, non si sa se tutto ciò sia accaduto o meno, ma un dato è però certo: in questa pellicola Fritz Lang inserì il conto alla rovescia prima di un lancio… in anticipo di 40 anni!
Compiendo un balzo in avanti e atterrando nel tempo del sonoro si arriva agli anni ‘50 e alla vera ‘corsa allo spazio’. Nell'agosto 1957 i sovietici lanciarono infatti con successo il primo missile balistico intercontinentale, e in ottobre il satellite artificiale Sputnik 1. Durante la schermaglia da Guerra Fredda tra Unione Sovietica e Usa, gli americani produssero numerosi lavori a tema lunare, tra cui la pellicola di Irving Pichel Uomini sulla Luna (Destination Moon, 1950), vincitrice nel ‘51 del premio Oscar per i Migliori Effetti Speciali. Girato in Technicolor, e considerato il primo grande film di fantascienza dell’era moderna nonché apripista ai cosiddetti Kolossal di science fiction, questo lungometraggio si basa sul romanzo Razzo G.2 (Rocket Ship Galileo) e sul racconto L'uomo che vendette la Luna (The Man Who Sold the Moon), entrambi di Robert A. Heinlein. Quando nel 1975 Luigi Cozzi (regista, sceneggiatore, e scrittore particolarmente attivo nel campo del cinema sci-fi e horror, suoi sono gli script de Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio) curò la riedizione italiana del film, inserì nel doppiaggio una battuta, “...e gli Urania che ho comprato ma non ho letto”, che suonava come un inside-joke riferito alla sua grande passione per la rivista Urania, collana nata nel 1951, un anno dopo la realizzazione del lungometraggio! Ma, a proposito di italiani, è giusto ricordare che nel 1958 vennero prodotti ben due ‘film lunari’: La morte viene dallo spazio di Paolo Heusch, prima opera fantascientifica non farsesca made in Italy, e Totò nella luna di Steno. Piccola curiosità, il regista Gino Zaccaria, noto per aver diretto Ermete Zacconi in Padre nel 1912, fu probabilmente il primo italiano a girare un lavoro d’animazione in chiave sci-fi: Un viaggio nella luna (1921), che narra di una spedizione interplanetaria compiuta in sogno da un giocattolo. Anche se non proprio attinente allo sbarco sulla Luna, ci piace rammentare ai lettori anche Space Men (1960), opera d’esordio di Antonio Margheriti, uno tra i pochi connazionali a cimentarsi con il genere della space fiction, che firmò con lo pseudonimo Anthony Daisies.
Approdiamo così agli anni ‘60 quando, mentre il cosmonauta Yuri Gagarin volava nello spazio a bordo della Vostok 1 (1961), seguito 2 anni dopo da Valentina Vladimirovna Tereškova, il cinema continuava a raccontare di alieni, pianeti inesplorati e missioni lunari, come in Base Luna chiama Terra di Nathan Juran (1964), ennesimo adattamento del romanzo The First Men in the Moon, di H. G. Wells, e in Conto alla rovescia (Countdown, 1967) di Robert Altman, con Robert Duval e James Caan. Siamo ormai giunti al 1968, sì, esattamente a 2001: Odissea nello spazio e a 12 mesi dall’allunaggio. Bene, che il capolavoro di Stanley Kubrick abbia poco a che vedere con il nostro satellite è certamente vero, eppure… Eppure, il filmmaker statunitense fu, ed è ancor oggi, considerato il perno centrale su cui fanno leva le farneticanti tesi complottiste che mettono in dubbio lo sbarco sulla Luna. Ma procediamo con ordine.
Grazie alla sua immensa abilità nel ‘rivoluzionare’ le immagini visive, Kubrick divenne ben presto l’alchimista della Settima Arte. Già, perché i suoi lavori apparivano talmente reali che ci volle poco ad associare il suo nome a bizzarre teorie cospirazioniste. Che 2001: Odissea nello spazio – unico film ad aver regalato al regista un Oscar, quello per i Migliori Effetti Speciali – sia stato progettato in maniera tanto dettagliata da renderlo credibile è sotto gli occhi di tutti, ma da qui ad imputare a Kubrick la strampalata idea di aver girato ad arte, spinto dalla NASA, un falso allunaggio, beh, alla fantasia di alcuni non v’è mai fine. D’altronde, è risaputo che dopo lo scandalo Watergate gli americani iniziarono a dubitare della sincerità dei loro governanti, e con la pubblicazione nel 1976 del libro di Bill Kaysing, We Never Went to the Moon: America’s Thirty Billion Dollar Swindle, dove si suggeriva che fosse molto più semplice filmare un fasullo sbarco sulla Luna anziché realizzarlo, la frittata era fatta! Ma torniamo a Kubrick. Nel 1975 uscì nelle sale Barry Lyndon, pellicola in cui il regista newyorchese volle rappresentare, il più fedelmente possibile, la realtà percepita dagli uomini del XVIII secolo. Per far ciò, K. andò incontro a una sfida impossibile: filmare l’intera opera con luce naturale. Necessitando di metodi e tecniche d'avanguardia, il cineasta acquistò direttamente dall’azienda produttrice - e non donatigli dalla NASA come si vorrebbe far credere - tre modelli Carl Zeiss Planar 50 mm f/0.7, ritenuti gli obiettivi dalla più grande apertura nella storia della fotografia, costruiti nel 1966 appositamente per il Programma Apollo della NASA. Degli unici dieci esemplari di tali lenti allora esistenti al mondo, uno restò a Carl Zeiss, sei furono venduti alla NASA e tre a Kubrick, che in seguito ne regalò uno al figlio di Sylvester Stallone... ma è un’altra storia. In conclusione, questo nesso puramente casuale tra la NASA e Stanley Kubrick non fece altro che alimentare il cosiddetto 'fake moon landing', che prevedeva uno scambio di favori tra il regista e la National Aeronautics and Space Administration.
Dopo l’allunaggio:
Il 20 luglio 1969 alle 20:17:40 UTC (Tempo Coordinato Universale), la navicella spaziale Apollo 11, con a bordo gli astronauti statunitensi Neil Armstrong e Buzz Aldrin, si posa sulla Luna, e mentre Armstrong e Aldrin muovono i loro primi passi sul suolo lunare, il terzo membro della missione, Michael Collins (pilota del modulo di comando), rimane ad attenderli in orbita. Non sono numerose le produzioni che ripercorrono le tappe di quella storica missione e delle successive, ma riallacciandoci al paragrafo precedente inizieremo con Capricorn One (1978), scritto e diretto da Peter Hyams: questo film mette infatti sul tavolo qualcosa che non passerà mai di moda, ovvero le teorie cospirative del governo degli Stati Uniti sui viaggi nello spazio, però con obiettivo Marte. Hyams ricrea una storia in cui, attraverso una frode televisiva, membri della NASA in collaborazione con alcuni senatori fanno credere al pubblico che gli Usa siano la prima potenza mondiale a raggiungere Marte. In pieno clima complottista, l’opera di Hyams riscosse un grande successo ai botteghini americani: una vera iniezione di felicità per i tanti, troppi, fautori del fake moon landing.
Gli anni ‘80 e ‘90 non furono molto prolifici per ciò che riguarda il cinema e la Luna, e quei pochi film realizzati non hanno lasciato segno, fatta eccezione per Apollo 13 (1995), di Ron Howard, con Tom Hanks (Jim Lovell), Kevin Bacon (Jack Swigert), Bill Paxton (Fred Haise), Ed Harris (Gene Kranze) e Gary Sinise (Ken Mattingly). “Ok Houston, abbiamo avuto un problema qui”...“Qui Houston, ripetere prego”… “Houston, abbiamo avuto un problema”, queste le parole che gettarono nel panico il Controllo Missione NASA, lasciando con il fiato sospeso mezzo mondo. La pellicola di Howard (vincitrice di due Premi Oscar, Miglior Sonoro e Miglior Montaggio), ispirata al libro Lost Moon di James Lovell - detto Jim - e Jeffrey Kluger, racconta la drammatica missione dell’Apollo 13. Era il 13 aprile 1970, quando i tre membri dell’equipaggio, Jack Swigert, Fred Haise e James Lovell, che si trovavano a 320.000 chilometri dalla Terra dopo aver viaggiato per 55 ore in direzione della Luna, avvertirono un’esplosione all’interno della navicella. Uno dei quattro serbatoi d’ossigeno aveva preso fuoco, e in breve tempo anche il secondo si incendiò. A causa di questo problema tecnico la NASA decise di interrompere la missione, le priorità erano diventate altre: riportare a casa i tre uomini. Ron Howard mette in scena una straordinaria ed emozionante corsa contro il tempo, arricchendo il film con dialoghi reali - trascritti o registrati - intercorsi tra il controllo di Terra e gli astronauti, scene in assenza di gravità girate a bordo di un aereo utilizzato dalla NASA per l’addestramento spaziale, e, come cameo finale, il vero James Lovell nel ruolo del capitano della nave di recupero USS Iwo Jima. Sostituendo la storica frase sopra riportata, con quella che nel film recita, “Houston, abbiamo un problema”, Ron Howard entrerà di diritto nell’Olimpo del ‘citazionismo’ cinematografico.
L’interesse per il nostro satellite riprenderà vigore nel nuovo millennio, e ad aprire le danze lunari ci penserà Rob Sitch con The Dish (2000), dove si narrano gli avvenimenti realmente accaduti a quattro scienziati e ricercatori che lavorarono al radio telescopio di Parkes, Australia, grazie al quale vennero inviate le immagini e i video dell’allunaggio alle televisioni di tutto il mondo. Del 2002 è invece il mockumentary Dark Side of the Moon, di William Karel. Questo volutamente falso documentario è un capolavoro assoluto di pura invenzione: in un crescendo accattivante di immagini, filmati e interviste d’archivio, elenca tutti i dubbi sollevati dai “teorici della cospirazione” che misero Nixon e Stanley Kubrick al centro delle loro arzigogolate tesi. Ma, a contrastare le fandonie complottiste che, al pari dell’erba cattiva, non muoiono mai, ecco arrivare il docu-film In the Shadow of the Moon (2007), di David Sington: 100 minuti incentrati sul programma spaziale Apollo. In questa cavalcata alla conquista cinematografica della Luna non poteva mancare il genere horror, qui rappresentato da Gonzalo López-Gallego con il suo Apollo 18 (2011): realizzato con la tecnica del found footage, e ispirato a una vera spedizione progettata dalla NASA, il film tratta di una missione sulla Luna in cui vengono ritrovati dei nastri video lasciati da precedenti astronauti, nei quali sono registrati episodi relativi all'incontro con forme di vita aliene pericolosamente ostili. Soltanto due film mancano al nostro appello: Il primo uomo (First man, 2018), di Damien Chazelle, e il documentario di prossima uscita Apollo 11 (2019), di Todd Douglas Miller. Entrambe le opere riportano gli spettatori al lontano 1969, e se nel lungometraggio di Chazelle a catturare il pubblico saranno tanto gli effetti speciali quanto il riflessivo studio su Neil Armstrong, interpretato dall’ottimo Ryan Gosling, nel lavoro di Miller a sbalordire la platea ci penseranno le immagini: pellicole straordinarie riscoperte solo recentemente da un archivista del Nara, l’agenzia statunitense che si occupa di preservare documenti governativi e storici, e fedelmente digitalizzate in 4K.
Eccoci giunti al termine del nostro, seppur incompleto, excursus cinematografico sull’allunaggio. La Luna è ancora lì, al suo posto, e finché non smetterà di esserci, beh, si può star certi che la Settima Arte non scorderà di omaggiarla a dovere...