2020, streaming on demand e pandemia…

Il 2020 verrà senz’altro ricordato per il definitivo affermarsi del Cinema non più al cinema. Processo che la pandemia che ha investito il pianeta ha, inevitabilmente, accelerato. Infatti, tutti i film di cui vi parlerò, sono stati visti sul “piccolo” schermo (che ormai, tanto piccolo più non è considerando le dimensioni dei televisori in commercio). Alcune delle opere citate non hanno visto neanche un passaggio nelle sale cinematografiche. Mi riferisco  a Mank di Fincher o a Sto pensando di finirla qui. Altri, come Favolacce sono stati proiettati solo nei festival in cui sono stati presentati, o hanno vissuto solo una breve stagione cinematografica. Insomma, un  altro modo di fruire la settima arte che credo  che  inevitabilmente influenzerà le scelte artistiche e stilistiche dei cineasti prossimi venturi. Se in meglio o in peggio, sarà la scommessa del futuro della quale siamo curiosi di vedere gli esiti.

1. 1917 di Sam Mendes
Perché, seppur con l’ausilio della tecnica, un piano sequenza di 119 minuti in cui si alternano sequenze di guerra, fughe, sparatorie e una meravigliosa scena in  un bosco durante la quale ascoltiamo una commovente canzone irlandese cantata da un soldato, è una lezione sul cinema da vedere, rivedere e imparare a memoria per chi vuol fare del cinema il proprio mestiere.
 
2. Hammamet di Gianni Amelio
Perché per raccontare la storia di uno dei più controversi uomini politici italiani dello scorso secolo ci vuole coraggio ed anche una dose di masochismo. Amelio lo fa con la giusta distanza e con una scrittura ed una direzione  rigorosa ci restituisce  il ritratto di un personaggio dalla statura Shakespeariana, a prescindere dalle azioni messe in atto che solo la storia potrà giudicare.

3. Favolacce dei fratelli D’Innocenzo
Bisogna morire per dare un segnale di vita ad una esistenza  impalpabile e trasfigurata condotta in una periferia metropolitana che sembra un centro vacanze a basso costo? 
Una cellula di apparente esistenza quella descritta dai fratelli D’Innocenzo in “Favolacce; un villaggio dei dannati alle porte della città eterna,  eterna nella sua assenza se non nella parlata quasi gergale dei suoi figli/personaggi, dove ambientare una favola nera, con tanto di mostro dalla faccia brutta e cattiva. Facce da periferia, facce da Pasolini, facce da sottoproletariato, che oggi non c’è più, sostituito da mostri subacculturati, incapaci di esprimere un sentimento, seppur primitivo e ancestrale. La soluzione è antica come il mondo: la fuga, che sia dall’altra parte del cielo, che sia appena oltre il raccordo anulare.

4. Mank (Netflix) di David Fincher
L’ennesimo film del cinema sul cinema, si potrebbe dire. Ma quando il film in questione è “Quarto potere”, che sta al cinema come Giotto alla pittura, e quando a dirigerlo è  un maestro dell’intrattenimento come David Fincher e ad interpretarlo è  un gigante   come Gary Oldman, l’opera non può non far breccia nel cuore dei cinefili più accaniti ma anche in più pubblico più vasto se si ha la pazienza di andare oltre i primi 15 minuti i cui dialoghi fitti e gli improvvisi e repentini cambi di scena  e prospettive temporali rendono faticosa  la visione. Dopo, è una lunga e suadente discesa nel caustico mondo del cinema. 

5. I Miserabili di Ladj Ly
“Ricordatevi di questo, amici miei. Non ci sono cose come le piante cattive o uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori.” E’ la frase finale, di Victor Hugo, per l’appunto che chiude un film fatto di  violenza e sopraffazione, discese negli inferi e redenzione. Nella Francia post vittoria dei mondiali di calcio del 2018, le diverse anime di una Parigi sempre  più teatro del mondo si scontrano rappresentando la tragedia di una comunità alla perenne ricerca di  un difficile quanto agognato equilibrio.

6. Sto pensando di finirla qui (Netflix) di Charlie Kaufman
Se lo sceneggiatore di “Se mi lasci ti cancello” si imbatte per caso, ma quanto per caso, nel libro “Sto pensando di finirla qui” del canadese Iain Reid  non può non uscirne un film straniante e multiplo, sospeso e irrisolto, circolare e sovrapposto.
Non ci sono punti di riferimento ma una macchina morbida che insegue un filo che si nasconde, riappare, si mimetizza tra le pieghe del tempo che si contrae per poi distendersi nello svelto cambio di una inquadratura, incastonata in una simmetrica idea dello spazio 
Un viaggio, quello raccontato da Charlie Kaufman, che, con un inaspettato cambio di prospettiva, si conclude nella mente di un bidello e dei suoi rimpianti e di ciò che avrebbe potuto essere ma non è stato.
Ma il film, non è solo un’amara e allucinata riflessione esistenziale. C’è anche lo spazio per dotte – e  volutamente artificiose - ponderazioni sociologiche e un po’ di cinema nel cinema: su tutti, citati espressamente Zemeckis e Cassavetes.

7. Il processo ai Chicago Seven (Netflix) Di Aaron Sorkin
Sacha Baron Cohen,  Joseph Gordon-Levitt, una comparsata di Michael Keaton, un monumentale Frank Langella: tutti diretti da Aaron Sorkin per raccontare la storia del processo farsa intentato contro sette attivisti, di diverse estrazioni politiche e sociali che parteciparono alle proteste contro la guerra in Vietnam durante la Convention democratica che si tenne a Chicago nell’agosto del 1968. Sorkin da poco approdato alla regia dopo una lunga e fortunata carriera da sceneggiatore, imprime al film un ritmo da commedia brillante, nonostante la gravità degli argomenti; colore che riesce a  mantenere fino alle ultime sequenze, alternando le scene processuali con quelle dei fatti realmente accaduti. Impreziosito da fitti e sagaci dialoghi, il film è un cocktail perfetto di cronaca e intrattenimento.

8. Diamanti Grezzi (Netflix) di Josh e Benny Safdie
Adam Sandler fa il mattatore in questo adrenalinico film dei fratelli Safdie. 
Howard Ratner (Adam Sandler) è un mercante di diamanti di Manhattan. Carico di debiti ed assediato dai creditori (che non sono proprio dei lord inglesi…) tenta un audace colpo finale cercando di sistemare la sua più che traballante situazione economica comprando un opale etiope con la speranza di rivenderlo all’asta ed ottenere un super guadagno che cercherà di moltiplicare per mille in una rischiosissima scommessa su una partita dell’NBA. Film urlato e girato con convulsi movimenti di macchina, coloratissimo e dal ritmo incalzante, si fa fatica all’inizio a seguirlo, ma una volta entrati nel mood, ci accompagna fino al finale a sorpresa che lascia senza fiato. Tra gli interpreti anche il giocatore di basket Kevin Garnet nel ruolo di sé stesso.

9. The Social Dilemma (Netflix) di Jeff Orlowski
Il docudramma di Jeff Orlowski, oltre ad essere ben diretto e confezionato, ha il raro pregio di svelarci e farci comprendere quello che è sotto gli occhi di tutti ma non sappiamo o vogliamo vedere e cioè la larvale dittatura dei social che selezionano i nostri gusti e le nostre preferenze orientando e manipolando i nostri comportamenti. A parlare sono tecnici, sociologi,  programmatori, pubblicitari pentiti che hanno lasciato le aziende in cui prestavano la loro opera per confessare i subdoli strumenti utilizzati per il profitto.

10. Mi Chiamo Francesco Totti di Alex Infascelli
Perché  in una Top Ten che si rispetti non può mancare il documentario sul numero dieci per eccellenza che per 25 anni ha scaldato e deliziato i tifosi del gioco più popolare della storia dell’uomo. Il ritratto che ne fa Infascelli è quello di un  uomo/ragazzo sincero e autentico che non conosce un linguaggio mediato; di un ragazzo/uomo che ha la sfrontatezza di dire "ero il più forte perché già quando calciavo la palla da bambino sentivo dal rumore la differenza con i tiri degli altri bambini"; che ha il coraggio di sorridere delle proprie origini popolari; che soprattutto non ha paura di chiedere scusa per le sciocchezze commesse e che nel suo discorso di Addio non ha detto "Grazie" ai suoi tifosi ma "Ora aiutatemi!".
Ma il documentario è anche un omaggio, disincantato disilluso ma lucido, a Roma e alla romanità che Francesco ha incarnato e incarna a dispetto dei suoi detrattori e per il godimento di chi nonostante tutto non può fare a meno di questa città amata e odiata

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