Venezia Classici: Break Up - L’uomo dei cinque palloni

Girato a Milano nel dicembre 1963 e nel gennaio 1964, Break Up - L’uomo dei cinque palloni di Marco Ferreri dovette affrontare travagliate vicissitudini prima dell’uscita nelle sale. Prodotto da Carlo Ponti per Compagnia Cinematografica Champion/Les Films Concordia, fu tagliato e rimontato come episodio in bianco e nero della durata di 25 minuti all’interno del film collettivo Oggi, domani e dopodomani (1965). Gli altri due brani (a colori) sono rispettivamente L’ora di punta di Eduardo De Filippo e lo scialbo La moglie bionda di Luciano Salce. Tutti e tre gli episodi sono accomunati dalla presenza costante di Marcello Mastroianni come protagonista.
Il regista nel 1967 riprese il film, aggiungendovi nuove scene di cui una a colori, ambientata in un dancing che, per l’occasione, fu ricostruito in un padiglione dell’Eur e ridoppiandolo. Con il titolo originale, il lungometraggio venne poi presentato alle “Giornate del Cinema democratico” di Venezia nel 1973 e in seguito distribuito nel 1979 con scarsi risultati al botteghino. Recentemente restaurato grazie all’opera della Cineteca di Bologna e del Museo Nazionale del Cinema di Torino in collaborazione con Warner, la versione integrale del film sarà presentata in anteprima mondiale alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia.

Nel cinema surreale di Ferreri, a mettere in discussione la logica dei valori elaborati nel corso di un’intera esistenza sono i saltuari attimi di svago. Vittime di uno stile di vista insostenibile, intuito solo in una manciata di frammenti temporali trascorsi lontani dal luogo di lavoro, sono in concreto tutti i personaggi ferreriani, a partire dal pensionato Don Anselmo protagonista de El cochecito. Con la succinta formula «il pomeriggio di un signore che ragiona troppo» usata per Break Up - L’uomo dei cinque palloni, il regista sintetizzò alla perfezione il terribile week-end dell’industriale dolciario Mario Fuggetta: un breve periodo di ferie a ridosso del Natale trascorso insieme alla fidanzata Giovanna (Catherine Spaak), cercando di determinare fino a che punto un palloncino possa essere gonfiato prima di esplodere. Un pensiero ossessivo, figlio d’infruttuose elucubrazioni mentali, che porterà dapprima l’uomo a regredire a uno stadio infantile e poi alla più totale pazzia, facendogli dire: «Se io smetto di gonfiare e dentro c’è ancora dello spazio, il mio è un fallimento! Se non ci riesco, io dentro sono un fallito…morale». Neppure l’incontro in una sauna con un amico ingegnere fornirà a Fuggetta una risposta soddisfacente, comprovata dalla ragione e da esatti calcoli scientifici.

Come spesso accade nei film diretti da Ferreri, l’oggetto industriale è un oggetto di design - in questo caso un semplice palloncino - che si arroga dal nulla lo status d’idolo totemico. Gli anti-eroi ferreriani attribuiscono a questi postmoderni feticci qualità che mai potrebbero possedere e che, proprio in virtù di tali attributi, gli appaiono straordinari, dissimili da ciò che in realtà sono. Soccombendo a una beffarda legge del contrappasso, l’imprenditore morirà schiantandosi su un altro prodotto tecnologico: la nuova fiammante utilitaria di un piccolo borghese qualunque, interpretato da Ugo Tognazzi in un breve cameo.
L’atteggiamento femminile, invece, è di pura e semplice demistificazione. Qualcosa simile a un meccanismo di reazione scatta in una Giovanna sempre più annoiata, che fa saltare in aria con una sigaretta uno dei palloni colorati del suo compagno.

In Break Up - L’uomo dei cinque palloni anche l’erotismo è fuori dal comune. L’ansia di sapere quanta aria possa essere compressa in un palloncino prima che questo scoppi non dà un attimo di tregua al povero protagonista, che non riesce a entusiasmarsi di fronte allo spogliarello di Giovanna, da lui tanto invocato («Sei la mia amante? Allora fai quello che ti dico: fai il teatro!»). Ma, quando lo spettacolo ha finalmente inizio, nulla può lo strip-tease di Giovanna con il suo sbottonarsi adagio la gonna per poi lasciarla scivolare sulla pelle vellutata fino a lambire il fondoschiena, di fronte alla fissità allucinata di un uomo alienato.
Declinato l’invito ai piaceri della carne avanzato dalla partner, Fuggetta è invece attratto da una sensualità occulta, che si riflette con effetti devastanti sia sul corpo che sulla mente. Per lui, qualunque palloncino gonfiabile è strettamente correlato con il sesso femminile e con la propria impotenza. Facendo ricorso a una pompa per biciclette, strumento di cui si serve per riempire d’aria i palloncini, lo stimato fabbricante cerca in maniera disperata di sopperire alla sua incapacità sessuale. L’incontro con i giovani del tempo dentro un locale da ballo allestito per l’occasione con miriadi di palloncini gonfiabili è anch’esso fonte di frustrazione erotica, in quanto l’integrità di Mario Fuggetta viene messa a repentaglio da tre donne che attirano l’uomo in un angolo della discoteca con il chiaro proponimento di violentarlo.

Al pari del sesso, il cibo è pervaso da un’oscura inquietudine materialistica come si può ben vedere nella sequenza in cui il protagonista declama con enfasi il valore economico del tartufo che grattugia e sparge nel piatto di risotto, ammettendo a se stesso il proprio benessere economico («Adesso il tartufo. Nove mila lire! Mille… Mille e cinque… Duemila… Duemila e cinque… Tre… Quattro… Mi fermo. Ho il mal di fegato»).
Anche lui, quindi, è uno di quegli individui che mangia soltanto per noia, come annoterebbe l’addetto alle vendite del negozio Peck, storico alimentari lombardo. Un imponente cane san bernardo rimarrà il solo a fargli compagnia, accucciato in un angolo del soggiorno. Sarà proprio la bestia a rimpinzarsi con l’ultima cena del suo padrone, dopo che costui si ritroverà in mano l’ennesimo palloncino e deciderà di togliersi la vita scagliandosi con forza fuori dalla finestra.
La parabola della società contemporanea non è mai stata così incisiva.

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