“Spazio… ultima frontiera…” - La storia cinematografica di Star Trek, capitolo primo.

La saga di Star Trek compie 50 anni. Era il 1966 quando timidamente si affacciò sui piccoli schermi d’America. Il primo episodio pilota non era andato granché bene, troppa filosofia e un “capitano” decisamente troppo british. Ma i furboni della NBC avevano capito di avere per le mani un materiale molto più che pulp. Sarebbe bastata un’aggiustatina al tiro e il gioco era fatto.

In primis cambio sul ponte di comando: fuori il capitano Pike (Jeffrey Hunter), scelta felice anche solo per il fatto che il poveraccio morirà prematuramente 3 anni dopo, e dentro il “figaccione” Kirk (William Shatner).
Il vulcaniano, Mr. Spock, lo si tiene insieme al guardiamarina Chapel (Majel Barrett, che casualmente è anche la moglie del creatore della serie Roddenberry).
Si mette in campo anche una sorta di cast allargato e multietnico: due navigatori, uno giapponese (Sulu) e un altro russo (Checov), a ribadire che la guerra è da tutt’altra parte. Un addetto alle comunicazioni, una donna e pure nera (!), il tenente Uhura e poi una WASP, come aiuto del capitano, il guardiamarina Rand. Uno scozzese andrà ad occuparsi dei motori e del teletrasporto: “Sig. Scott, ci tiri su!”
Infine il terzo vertice del triangolo dell’amicizia, il dottor Leonard “Bones” McCoy.
E’ fatta!

Ormai tutti sanno che la serie non partì benissimo (motivo per cui ne esistono solo tre stagioni), ma si consolidò nel tempo tanto da portare i produttori a decidere di mettere in cantiere un ritorno dei nostri eroi. Nel frattempo però, esplose il fenomeno Guerre Stellari (1979) e quindi divenne quasi imperativo traghettare tutto sul grande schermo.
Peraltro la cosa fece si che Leonard Nimoy (Spock) restasse a bordo, in quanto aveva già deciso di non fare una nuova serie, troppo impegnativa. A tal proposito nel primo film della serie, Star Trek (1979), Spock arriva più tardi a bordo di una navicella vulcaniana, il suo posto era già stato preso dal Primo Ufficiale Decker (Stephen Collins).

Ma veniamo a noi.

Star Trek (1979) / “Star Trek – The Motion Picture”
Il primo film, come detto, è quello con i maggiori difetti di continuity. Né carne, né pesce, con una complessa storia dietro che coinvolge addirittura la NASA e con l’unica certezza che c’è il cast originale e quindi... sarà figo.
L’astronave è stata risistemata, pronta a partire per una nuova missione quinquennale e Kirk è ammiraglio. Gli eventi precipitano quando una misteriosa forza “aliena” – Vyger – minaccia di distruggere la Terra.
Colpo di mano del vecchio leone che esautora il comandante della nave prendendo il comando per affrontare la minaccia.

Le divise sono uno sfoggio di design asettico che nulla avrà a che vedere con tutto il resto dell’universo trekkiano, guardatele ora e dimenticatele subito, non sono mai esistite. Peraltro il cast le ha talmente odiate che una delle clausole per il secondo film è stata il cambio di divisa, ma è proprio tutta l’atmosfera che è lontanissima sia dalla serie, che dai film successivi. Lo si potrebbe quasi definire un apocrifo, se non fosse che c’è tutto il cast e quindi… sarà fighissimo!
Alla fine 35 milioni di dollari di budget per portarne a casa 139, nonostante tutto un successo.
Ne esiste anche una versione “director’s cut” in cui Robert Wise ha inserito le scene che per problemi di budget non era riuscito a realizzare. Di fatto più che un “cut” è una nuova versione.

Curiosità: la grafica del poster è stata ripresa “para para” per quello di Star Trek – Beyond.
Mark Lenard qui interpreta un klingon dopo esser stato anche un romulano nella serie classica, ma diventerà famoso nei panni di Sarek, il padre di Spock, praticamente un jolly.

Star Trek – L’Ira di Khan (1982) / “Star Trek – The Wrath of Khan”
I soldi alla fine li avevano fatti, e forse avevano anche capito quali erano stati gli errori, a partire da un regista troppo “classico” per il materiale da affrontare. Arriva così Nicholas Meyer a dirigere quello che sarà universalmente noto come il miglior film della serie (prima del reboot quanto meno).
Meyer aveva già realizzato un film come L’uomo venuto dall’impossibile, dove Jack lo Squartatore arrivava ai giorni nostri, ed è pronto a dare una sferzata al tutto, soprattutto inserendo nella trama non solo azione, ma anche violenza (decisamente poco trekkie).

Un vecchio nemico dei nostri, Khan Noonien Singh (visto nella serie classica) prodotto dell’ingegneria genetica del 20° secolo, tornerà per vendicarsi di Kirk e della Flotta Stellare. Con un’astuta trappola riuscirà a colpire quasi a morte l’Enterprise, ma la tenacia dell’equipaggio e un astuto escamotage, consentiranno ai nostri di poter replicare.
La vittoria finale su Khan costerà un prezzo salatissimo, perché “il bene dei molti è più importante del bene di pochi”.
In questo film non abbiamo un villain “edulcorato”, Khan è pronto a tutto, compresa la tortura, per ottenere quello che vuole. La forza del film è nel saper bilanciare violenza, sacrificio, amicizia e una vena da commedia, il tutto con uno spettacolare scontro tra astronavi, che è il vero cuore di un film di fantascienza.
Qui ci si dimentica della Federazione portatrice di pace per ritrovarsi a combattere per la vita.

Il film diventerà uno dei capisaldi dell’universo narrativo di Star Trek (e non certo perché scopriamo la vecchia fiamma del capitano e il figlio che non sapeva di avere), poiché qui si parla per la prima volta del test della Kobayashi Maru, un test su come affrontare la morte, superato da una sola persona nella storia dell’Accademia della Flotta Stellare: il capitano Kirk, che barò (scopriremo poi come nel reboot di J.J. Abram). Questo definirà per sempre la personalità del capitano, un uomo incapace di accettare l’ineluttabile e pronto a qualsiasi cosa per quello che lui ritiene essere un bene superiore.
Inoltre si stabilisce il “canone” delle uniformi della Flotta. Da qui in poi avremo le divise rosse con i colletti colorati che ne identificano le varie sezioni (non più 3, ma 6).
Il budget di questo secondo film, dopo il faraonico primo capitolo, sarà di soli 11 milioni, ma se ne porterà a casa 97, in percentuale più del doppio del primo. Imperativo quindi farne un terzo.
Ne esiste anche una versione “allungata” per la televisione in cui c’è la sottotrama della morte del nipote di Scotty che si sacrifica per la nave.

Curiosità: da qui in poi scopriremo che la birra romulana è vietata, ma che viene regolarmente contrabbandata.
La trasformazione del pianeta con l’effetto “Genesi” è una delle prime applicazioni di computer graphic in un film, quale contesto migliore.


Star Trek III – Alla Ricerca di Spock (1984) / “Star Trek III: The search for Spock”
Al timone di questo primo vero sequel troviamo Leonard Nimoy (tanto Spock è morto…) che getta la maschera rendendo chiaro a tutti che vuole fare il regista quanto l’attore.
I nostri hanno lasciato Genesis con un amico in meno e, Kirk, con un figlio in più, ora che ha scoperto la vera identità del Dr. Marcus.
Il problema è che Genesis è stato creato “barando” (pare sia genetico) quindi destinato a distruggersi, ma il processo ha anche fatto si che il corpo di Spock (finito lì) ringiovanisse. Di contro i Klingon sono convinti che Genesis sia un “ortigno fine ti monto”.

Partendo da questi presupposti il film diventa un pretesto per riportare Spock nell’Enterprise, creare lo scontro Klingon/Federazione e far si che il Capitano Kirk li odi per sempre grazie a uno dei drammi chiave dell’universo di Star Trek.
L’Enterprise si schianterà su Genesi, e qui iniziamo il conto delle astronavi distrutte in modo da rifarle più belle e fulgide che prima, grazie al codice di autodistruzione (sempre lo stesso dagli anni sessanta, praticamente il segreto di Pulcinella).

I risultati (25 milioni di costo per 87 di incasso) non sono fallimentari quanto l’effettiva qualità dello script, soprattutto perché sconta l’essere subito dopo il migliore della serie, con un’asticella dell’aspettativa mostruosamente alta. Alla fine ci sono momenti notevoli, soprattutto nella parte finale, ma il come ci si arriva è di una mediocrità disarmante come anche il voler riportare Spock in seno al gruppo (giusto per curiosità il film, se Nimoy non avesse chiesto di morire in quello precedente, sarebbe stato “Star Trek III: Return to Genesis”).
Chi se ne va per la tangente è invece Kristie Alley, che pensò bene di chiedere più soldi per impersonare Saavik e che è stata prontamente sostituita da Robin Curtis (ah, se gli attori ricordassero, oggi non avremmo Don Cheadle a impersonare War Machine, ma questa è un’altra storia).

Le cose che rimarranno del film sono la fantastica pausa nei titoli di testa tra William Shatner (Kirk) e DeForest Kelley (McCoy) lì dove sarebbe dovuto essere Leonard Nimoy (Spock), ma soprattutto viene definita la “forma” delle navi Klingon. L’idea è di Nimoy stesso che descriverà ai tecnici della ILM l’aspetto da sparviero che desidera.


Rotta Verso la Terra (1986) / “Star Trek IV: The Voyage Home”
Praticamente un vero e proprio terzo episodio (così anche Star Trek ha la sua trilogia, apocrifa) che si connette al precedente sempre con Nimoy alla barra di comando.
Senza Enterprise e alla guida di un vascello klingon, i nostri eroi - il nocciolo duro dell’equipaggio, quelli che contano senza tanti fronzoli e comprimari - scoprono che la Terra è sotto attacco da parte di una misteriosa sonda in cerca di balene, oramai estinte.
Cavalcando uno cavalli di battaglia della serie classica, Kirk e soci viaggiano indietro nel tempo arrivando sulla Terra degli anni 80 intenzionati a procurarsi un paio di balene per salvare l’umanità… e indovina un po’… ci riusciranno.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare il film funziona assolutamente. Niente scontri stellari (è l’unico film in cui non c’è l’Enterprise), niente drammi travolgenti, niente razze aliene, è tutto basato sull’assurdità di un gruppo di persone costrette a confrontarsi con un passato a loro alieno e con un bel messaggio ecologico, la dimostrazione che Star Trek è si, una serie fantascientifica, ma prima di tutto è una finestra sui rapporti umani. Inoltre il film viene dedicato all’equipaggio del “Challanger”, lo shuttle esploso pochi mesi prima in fase di decollo.
133 milioni di incasso per 25 di costo, quindi un altro bel successo che sarà l’apripista per mettere in cantiere “Star Trek: Next Generation”, la nuova serie.

Quello che passerà alla storia per tutti i fans sarà comunque Scotty che tenta di parlare con un PC, prima allo schermo e poi utilizzando il mouse a mo’ di microfono. Impagabile!
Questo è anche l’ultimo film di Majel Barrett (moglie di Gene Roddenberry, creatore dell’universo di Star Trek) nei panni del tenente Christine Chapel, entrerà nel cast della nuova serie TV come Luwaxana Troi, la madre del consigliere Troi.


Star Trek V – L’Ultima Frontiera (1989) / “Star Trek V: The final frontier”
Ok, questa è la "cosa" che ha fatto nascere la famigerata "maledizione dei numeri dispari”. Cosa è?
Secondo i fans tutti i film “dispari” della saga sono deboli quando non addirittura brutti. Questo è veramente brutto, sicuramente il peggiore fino all’avvento di… lo vedremo dopo.
Terribile già dal poster senza un minimo di fantasia (l’Enterprise con i faccioni di Kirk e Spock) con William Shatner (Kirk) deus ex machina del tutto, regia e sceneggiatura, oltre al ruolo preponderante del Capitano, mio capitano. Questo gli vale ben tre “Razzie” uno come peggior film, e due al Capitano, mio capitano, per la regia e per la sceneggiatura, tanto che in Italia va in “direct home video”. Nonostante tutto porta a casa 70 milioni su 28 di costi.
George Takei (Sulu) ci aveva visto lungo… non voleva assolutamente essere in un film diretto e sceneggiato dal Capitano, mio capitano, con cui non ha mai avuto un rapporto idilliaco (ego), ma alla fine si lasciò convincere… poraccio. Diciamo che così si è guadagnato il comando della “Excelsior”.
Come è potuto accadere tutto ciò? Semplice nei lontani anni 60, ai tempi della serie Shatner e Nimoy firmarono un contratto con la clausola “favored nation” (nome che deriva dagli accordi commerciali internazionali) che stabiliva che qualsiasi cosa ottenesse l’uno, l’avrebbe avuta di riflesso anche l’altro. Applicata alla lettera ha fatto si che Shatner avesse la sua regia!

Il plot è fantastico… scopriamo che Spock ha un fratello (fratellastro), Sybok che ha rigettato i dettami di Vulcano e aperto il cuore alle emozioni, così si è convinto di parlare con Dio. Questo genio decide di dirottare l’Enterprise – A (la bella e nuovissima nave) per superare la Grande Barriera (che nome originale) al centro della Via Lattea per andare a raggiungere Dio ed illuminarsi. Tutto questo con un’astronave klingon che vorrebbe abbattere l’Enterprise.
Solo che al centro dell’universo non c’è Dio, ma un’entità imprigionata che non vede l’ora di ribellarsi e seminare morte e distruzione e ci sono pure i klingon...

In questo baillame produttivo si innesta lo sciopero degli sceneggiatori, un conflitto di impegni tra Nimoy e Shatner, svariate revisioni del copione, legato troppo alla religione, e il fatto che Paramount non crede più, visto il dilatarsi dei tempi, nell’effetto onda lunga del precedente film.
Il budget viene così ridotto, intere sequenze eliminate, e la ILM non è più una scelta praticabile per gli effetti speciali che vengono così, per la maggior parte, realizzati con trucchi e artifici sul set mentre altri sono appaltati in giro per l’America e, lasciatecelo dire, si vede!
Si arriva al montaggio finale del regista, poco più di 2 ore a cui vanno sommati i titoli e una scena di effetti speciali… troppo lungo per la produzione che cercava un agile 105 minuti adatto ad una doppia proiezione serale.
Alla fine della fiera gli attesi 200 milioni al botteghino sono un terzo, anche perché il film si scontra contro Ghostbusters II, Indiana Jones e l’Ultima Crociata e Batman. Si rifarà in home video tanto che Shatner proverà a convincere la Paramount a realizzare un “Director’s Cut” rivisitato, ma lo Studio rifiuterà.
Si è seriamente corso il rischio di chiudere il franchise, ma il successo della serie “Next Generation” ha fatto si che ciò non accadesse.

Al livello di curiosità, l’attendente del Capitano, mio capitano, in questo film è sua figlia Melanie Shatner.
Questo è l’unico film della serie ad avere una scena prima dei titoli di testa (visti i risultati, hanno subito smesso)...

...continua