Sguardo su Orizzonti di Venezia 73
Orizzonti, come da etimologia stessa del termine, è la sezione non competitiva della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, nata nel 1988, che si pone da quasi trent’anni l’obiettivo di ampliare lo sguardo dello spettatore verso temi e cinematografie meno battuti, non tradizionali e decisamente più sperimentali, includendo documentari, cortometraggi ed opere prime da ogni angolo del globo.
Vere e proprie chicche hanno debuttato su questi schermi (solo apparentemente) di nicchia. A Venezia 69, infatti, Orizzonti ci ha regalato l’interessante La bicicletta verde di Haifaa Al-Mansour, il bellissimo Tango Libre di Frédéric Fonteyne e due pregevoli italiani, Gli equilibristi di Ivano De Matteo e Bellas mariposas di Salvatore Mereu. A Venezia 70, è stata la volta del bravissimo documentarista Andrea Segre con La prima neve e, tra i cortometraggi, un’autentica chicca: Aningaaq di Jonás Cuarón cortometraggio spin-off di Gravity, realizzato per far parte degli extra dell’edizione Home Video del film ed ambientato in Groenlandia, con un pescatore inuit che si troverà a vivere la più sconvolgente trasmissione radio della propria vita. A Venezia 71, Orizzonti ci ha fatto scoprire La vita oscena di Renato De Maria ed il durissimo Heaven Knows What diretto da Ben e Joshua Safdie che segue una coppia di vagabondi a New York mentre tentano di combattere la propria dipendenza dall’eroina attraverso una maniacale storia d’amore. Lo scorso anno, a Venezia 72, è apparso il simpaticissimo ed arguto Pecore in erba di Alberto Caviglia che affronta in chiave surreale il delicato tema dell’antisemitismo ed il pluripremiato The Childhood of a Leader che, scritto prodotto e diretto da Brady Corbet al suo esordio, si ispira ad Infanzia di un capo di Sartre e ad Il mago di John Fowles. Un ottimo lavoro che ha vinto sia il Premio Orizzonti per la Miglior Regia che il Leone del Futuro, premio dedicato alle opere prime.
Quest’anno, per Venezia 73, le pellicole della sezione Orizzonti ammontano a ben 19, con una presenza nostrana decisamente scarsa. Sono, infatti, soltanto 2 i lungometraggi e 4 i corti nostrani, tra cui vi segnaliamo il debutto alla regia di Chiara Caselli con Molly Bloom, dedicato alla protagonista dell’Ulisse di James Joyce, cui l’autore dedica lo stream of consciousness finale che chiude la monumentale opera, intitolato appunto Il soliloquio di Molly Bloom.
I due lungometraggi italiani affrontano, invece, il tema dell’esorcismo in Vaticano (Liberami di Federica Di Giacomo) attraverso gli occhi di Padre Cataldo e di coloro che partecipano alla sua “Messa di liberazione” (le possessioni, in Italia e nel mondo, sono sempre di più) e quello della vita dopo il carcere con la dura ed intensa storia vera del 39enne Mirko Frezza che diventa Presidente del comitato di quartiere nella borgata di Roma in cui è tornato a vivere dopo la prigionia e si scontra con la dura realtà del doversi ricostruire una vita affettiva e lavorativa, con la costante spada di Damocle del ricadere nella delinquenza. Tutto ciò, come se non bastasse, inseguendo il sogno di far funzionare la mensa per i poveri e costruire un orto dove far lavorare ex-detenuti come lui. Ecco il tema del documentario di Michele Vannucci intitolato Il più grande sogno.
Opera attesa che promette molto bene è Dark Night di Tim Sutton, il cui debutto (Pavilion) ricevette nel 2012 il Premio Speciale della Giuria al Torino Film Festival. Quest’anno, lo vediamo tornare a Venezia con la dura ed inquietante storia della strage di Aurora, che avvenne proprio nel 2012 in Colorado, quando un 24enne aprì il fuoco durante la prima de Il cavaliere oscuro, da cui il titolo, uccidendo 12 persone e ferendone 58. Questo lungometraggio, in proiezione speciale fuori concorso, è il j'accuse di Sutton contro le armi e la violenza in America.
Un duro scontro generazionale verrà, invece, rappresentato in Home di Fien Troch, anche lei passata a Torino con il suo primo lungo, Unspoken, nel 2005. John, Abdul, Sammy e Lina fanno parte della generazione digitale, quella del "tutto in abbondanza" e dell’individualismo più assoluto. Non sembrano interessarsi a grandi cose e passano la maggior parte del tempo in un parcheggio dove ascoltano musica e sperimentano droghe varie. Gli adulti che li circondano si sentono impotenti e spesso, invece di essergli d’aiuto, reagiscono male ed acuiscono il conflitto.
Ed è ancora di adolescenti che si parla in Kékszakállú dell’argentino Gastón Solnicky che, ispiratosi liberamente a Il castello di Barbablù (1911) del compositore ungherese Béla Bartók, ci regala il ritratto di alcune giovani donne attraverso diverse fasi della loro vita, mentre cercano di combattere la routine quotidiana.
Dulcis in fundo, impossibile non consigliarvi la visione di un film che speriamo trovi una distribuzione italiana: White Sun del regista produttore e sceneggiatore nepalese Deepak Rauniyar, il cui lungometraggio di debutto, Highway (2012), è apparso in anteprima a Berlino ed è stato il primo film del Nepal ad essere proiettato in un festival cinematografico internazionale. È la storia della piccola Pooja che vive con la madre Durga e l’adorato nonno in un remoto villaggio sulle colline orientali del Nepal. Il padre Agni, che non ha mai incontrato, si è unito ai guerriglieri maoisti ed ha lasciato il villaggio anni fa per andare a lottare contro il regime. La morte del nonno di Pooja riporta Agni al villaggio per i riti di sepoltura ma una ferita di guerra lo ha reso invalido ed ora ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a portare il corpo di suo padre al fiume per la cremazione. Mentre l’uomo attende sotto il sole cocente in attesa dei riti funebri, il figlio si vede costretto a cercare aiuto tra poliziotti, guerriglieri ribelli e gente dei villaggi vicini. Ne emergerà un ritratto di Nepal post-conflittuale, praticamente ignoto all’Occidente.
Viste le nutrite premesse, Orizzonti si conferma la sezione da non perdere della Mostra del Cinema di Venezia ed a noi non resta che dirvi…arrivederci al Lido!
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