Seminci: Festival di Valladolid. Cap.7
Ultimi due film in concorso alla 61ª Seminci, due film al femminile, l’esordio nel lungometraggio dopo tre corti dell’israeliana Elite Zexer con Sufat Chol (Tempesta di sabbia), e un film che era a Venezia Orizzonti, Réparer les vivants, (Riparare i viventi), prodotto da Francia e Belgio, e diretto da Katell Quillévéré, al suo terzo film.
Il primo è una finestra aperta su una comunitá di beduini per illustrare i contrasti tra la modernitá e la tradizione. Tema spesso trattato dal cinema del Medio Oriente e fino a quello indiano, narra ancora una volta la ribellione di un’adolescente iscritta all’universitá dove ha una relazione sentimentale con un coetáneo. Quando il padre decide di prendersi una seconda moglie e d’imporre alla figlia un pretendente di proprio gradimento, questa decide di andar via. Vedendo peró la madre separata dalle due sorelle minori che vanno sotto tutela del padre, Layla interviene in difesa della madre provocando un tafferuglio che la indurrá a cambiare atteggiamento. Nulla di nuovo quindi sebbene vada sottolineata la buona drammatizzazione e l’interpretazione delle due donne, Lamis Ammar (Layla), Ruba Blal-Astour (Jalila). Il film dura 87 minuti.
Katell Quillévéré, nativa della Costa d’Avorio, studi di filosofía a Parigi, dopo Suzanne (2013), e Un poison violent (Un veleno violento) 2010, ha adattato un romanzo popolare di Maylis de Kerangal, Réparer les vivants, una vicenda sul trapianto di organi, ma anche riflessione tra scienza e umanitá. Dura 104 minuti e si puó considerare suddiviso in due tempi: nel primo, scorci di vita del diciassettenne surfista, l’incidente d’auto, il coma, lo sconforto e il disorientamento dei genitori dinanzi alla prospettiva di poter donare gli organi del figlio. Nel secondo la vicenda di una pianista il cui cuore sta per giungere al capolinea, l’affetto dei due figli e quello dell’amica, ma anche il timore e l’indecisione riguardo all’operazione al cuore quando un donatore fosse disponibile. Interpretato da Emmanuelle Seigner, Anne Dorvall e Tahar Rahim, il film illustra con rigore i due volti della donazione sfuggendo da facili didattismi e mettendo in scena una drammatizzazione che attraverso la finzione rende comprensibile e nobilita una pratica recente non sempre ben recepita.
E prima dei premi ancora un paio di spettacoli al di fuori della competizione. Classica l’interpretazione delle musiche che Hans Erdmann compose per il film Nosferatu (1922) di F.W.Murnau e che l’Orchestra Sinfonica di Castiila y León, diretta dal maestro David Hernando Rico, ha offerto nell’Auditorio Miguel Delibes. Di routine il film di chiusura del sessantenne Philippe Lioret che aveva esordito come técnico del suono. Le fils de Jean (Il figlio di Jean), suo ottavo film, narra in 98 minuti la storia di Jean, 35 anni, che a Parigi riceve una telefonata dal Canada nella quale gli viene comunicata la morte del padre. Divorziato e con un figlio, Jean ha sempre saputo dalla madre di essere il figlio di una notte d’amore dopo la quale non si avevano piú avute notizie del padre. Ora un amico del defunto lo chiama, lui va a Montreal, incontra due suoi fratelli e la famiglia dell’anziano, ma scopre un clima ostile che gli impedisce di rivelarsi ai fratelli. Piú cordiali i rapporti con la famiglia dello sconosciuto che gli ha telefonato, e che sembra essere la sua vera famiglia. Dopo un breve sodalizio, Jean torna a Parigi. Interpretato da Pierre Deladonchamps, Gabriel Arcand, Catherine de Léan, il film scorre freddo e senza colpi di scena.
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