Impressioni dal Festival di Sitges - parte 1
Ci sono treni speciali da Sitges a Barcellona per riportare a casa i fan che durante il fine settimana restano per godersi gli spettacoli notturni. Durante il giorno la folla attorno al Festival da l’impressione di assistere all’uscita dallo stadio di calcio dopo la partita. Al 49° Festival Internacional de Cinema Fantàstic de Catalunya si ha anche la sensazione che si stia uscendo dalla crisi. Comunque, archiviati i dieci minuti di applausi a Max Von Sydow, parliamo delle ondate di film che invadono gli schermi.
Dall’America l’originale film di un regista inglese, Hell or High Water (Inferno o acqua alta) di David Mackenzie. Ambientato nella provincia texana, tra piccoli paesi divisi da chilometri di zone desertiche, il film è interpretato da Jeff Bridges nei panni di un agente di polizia alla vigilia del pensionamento. Fa squadra con un agente di origini indiane e i battibecchi fra i due sono frequenti. Ne vengono distratti da insolite rapine in banca, senza morti e con furti limitati a banconote di piccolo taglio. Autori due fratelli: un ex galeotto testa calda, e il più giovane, (Chris Pine), che partecipa agli assalti perché vittima di banche e di strozzini che gli stanno sottraendo la piccola fattoria familiare. Non solo, ma separato e con due figli, agisce soltanto per assicurare il loro futuro.
Interessanti i profili degli antagonisti: l’agente volitivo e caparbio, e il giovane rapinatore che tenta di frenare gli eccessi del fratello maggiore. Ciò che colpisce di più, tuttavia, è la descrizione di un Texas senza eroi: domestico, rarefatto, con raggruppamenti di case sparse tra distese di terre brulle, dove gli abitanti socializzano, si fa per dire, negli snack e nelle banche. Girato su sceneggiatura di Taylor Sheridan, il film dura 102 minuti.
In comune col film coreano in concorso, Karaoke Crazies, opera prima di Kim Sang-chan, la solitudine dei personaggi. Qui però siamo in un ambiente urbano, quasi sempre all’interno di un albergo decadente dove si alternano pochi personaggi con piccole perversioni e un assassino seriale. Una nota stampa segnala l’origine giapponese di Karaoke, scindendolo in Kara (vuoto) e Oke (orchestra) per indicare un’orchestra senza cantante. Questo tentando di nobilitare luoghi di distrazione denominati Karaoke e le piccole follie che vi si commettono. In realtà assistiamo a un timido gerente porno amatore che si addormenta con gli auricolari dei film, a un paio di giovani donne cantanti che nascondono segreti, a un povero sordomuto bistrattato e a un dinamico agente di polizia. Ne nasce una storia bizzarra, dai toni ironici e grotteschi, dove man mano le piccole perversioni diventano esplicite e accomunano questi personaggi disorientati in un piccolo gruppo di amici. Impreviste, tuttavia, azioni e motivazioni del killer che colpirà quando stanno per scadere i 106 minuti del film.
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