QUENTIN TARANTINO: genio, maestro del taglia e cuci o semplice collezionista seriale?
A volte nel mondo del cinema capita di trovarsi dinnanzi a personaggi etichettati troppo in fretta come geni o maestri d’innovazione, eppure la memoria dovrebbe ricordarci che non v’è nulla di nuovo sotto al sole! Un esempio emblematico di tale affermazione potrebbe, o forse no, essere la controversa figura di Quentin Tarantino?
Fin dai suoi esordi il regista texano dà subito l’idea di quale sia la sua maggior virtù: scrivere storie. E in questa veste annuncia già i suoi temi d’interesse più ricorrenti, come cultura pop, ironia, memoria collettiva sia musicale che cinematografica e passione per i b-movie. Nelle sue due sceneggiature True Romance, (Tony Scott, 1993) e Natural Born Killers (Oliver Stone, 1994), sono presenti costanti riferimenti a questi aspetti, ma è con il suo lavoro alla regia che solca il sentiero, fin qui solo tracciato, di aggiungere elementi caratteristici di altri autori. E’ anche vero, però, che il valore di un film non è tanto nella storia, ma nella forma in cui viene raccontata, e Tarantino in questo è maestro: crea prodotti nuovi che, seppure non originali, funzionano eccome!
Per comprendere a fondo questo approccio di “ruberia” tarantiniana è però fondamentale fare un salto nelle sua maniacale ossessione per il collezionismo. Il regista statunitense non butta via niente, è ossessionato dal vintage e cosciente del fatto che senza il suo folle amore per i film del passato non sarebbe mai diventato il filmaker di culto che è oggi. Possiede quarantamila VHS, cinquemila dischi, e ancora, fumetti, poster, scatole di cereali degli anni sessanta e settanta e conserva tutti gli oggetti presenti nei suoi film: un folle feticista seriale. Dunque, come non capire la sua voglia di attingere al passato e ripescare attori dati ormai sulla via del tramonto?
L’hobby di Tarantino di abbeverarsi a fonti aliene diventa di certo un pregio nel momento in cui lui non nasconde le sue carte, così ne Le Iene, suo primo lungometraggio, il richiamo a City on Fire del cinese Ringo Lam è del tutto palese, e il risultato è semplicemente stupefacente. In questa pellicola approfondisce la sua magistrale confezionatura di dialoghi, le situazioni esplosive, e i riferimenti cinematografici più vicini, questa volta, ai noir francesi di Jean Luc Godard e Jean Pierre Melville (basti pensare che la sua casa di produzione si chiama A Band Apart proprio come il film di Godard), che ai suoi tanto amati film di serie b.
La destrutturazione temporale è il giochetto preferito con cui Tarantino si sollazza, e Pulp Fiction ne è la riprova. Qui, prendendo a piene mani le atmosfere di Giungla d’Asfalto di John Huston, e facendo sua la frammentazione della storia, come Stanley Kubrick in Rapina a Mano Armata, ecco che il texano continua a “rubare”. Ma in realtà non ha fatto altro che sfruttare la sua vorace cinefilia per metterla al suo servizio. Con lui ogni elemento preso in prestito viene infatti ribaltato e svuotato del suo significato originale, non per un mero lavoro di taglia e cuci, bensì da abile prestigiatore: estrarre dal cilindro il noto coniglio, per trasformarlo in animale di fantasia, come Pulp Fiction. Questo è un capolavoro di saccheggio cinematografico, ma, come diceva Ettore Scola: “copiare è un’arte”. Raffaello ha copiato da Michelangelo e dal Perugino, l’uno non sarebbe esistito senza gli altri. Verrebbe da pensare che l’accezione negativa dell’atto del copiare sia maturata in ognuno di noi in età scolastica, quando i professori ci redarguivano urlando “hai copiato!”. Ma se ciò che ho copiato lo avrò poi utilizzato per creare cose diverse… il prodotto finale sarà mio a tutti gli effetti: Tarantino docet!
La violenza che impregna l’intero film è un ulteriore esempio di “rapina a mano armata”. Sam Peckinpah, Martin Scorsese e molti altri hanno cavalcato l’onda della brutalità, ma, con il “collezionista seriale”, la violenza assume una forma estetizzata. Tarantino inventa infatti personaggi talmente assurdi che impediscono allo spettatore di immedesimarvisi, si crea così uno spazio nel quale la violenza, privata di qualsiasi sembianza morale ed empatica, può essere usata unicamente come manifestazione estetica. In altri termini, nella filmografia tarantiniana più le fontane di sangue e gli arti mozzati aumentano, più diminuisce la dose di realtà: l’umorismo, l’ironia e il fumetto rubano la scena alla crudeltà.
Con il suo successivo lavoro, Jakie Brown, ingiustamente sottovalutato dalla critica, Tarantino torna a spezzettare la narrazione, farcendola però con un gusto esagerato per la serie b e sfruttando la blaxploitation, genere nato nel settanta negli Stati Uniti. Per quanto strano possa sembrare, questa commistione di ingredienti non fa altro che rendere la sua terza opera ancora più originale!
Siamo nel 2003, sono trascorsi ben 13 anni da Le Iene, e la voglia dell'allora quarantenne americano di stupire il pubblico non si è ancora placata. Esce quell’anno Kill Bill, ricco di omaggi e citazioni, più o meno esplicite, di altri film: gli spaghetti western di Sergio Leone, il Kung Fu di Bruce Lee e… se stesso. Già, perché Tarantino è talmente spudorato da copiare anche dai suoi precedenti lavori: irrecuperabile, diranno alcuni… genio assoluto, affermeranno altri.
Nel 2007 dirige Grindhouse A prova di morte, riportando in vita dal cassetto del dimenticatoio Kurt Russel, costruendo una struttura da movie splatter/slasher… senza le caratteristiche dello slasher: sì, la manipolazione è per lui una mania inguaribile. Arriviamo così a Bastardi Senza Gloria e Django Unchained, dove, incurante dei suoi detrattori, Tarantino continua a lavorare come un geniale operaio in una fabbrica di riciclaggio: butta dentro vecchi detriti dimenticati, dando vita con il suo guizzo creativo a nuovi e duraturi oggetti di culto!
Con il suo ultimo e ottavo film, The Hateful Eight, nulla cambia, e Tarantino non solo torna al western e rispolvera Carpenter e Agatha Christie, ma sceglie perfino di utilizzare il formato 70 millimetri Ultra Panavision: lo stesso adoperato per girare niente di meno che Ben Hur!
Sì, a questo punto si potrebbe tranquillamente sostenere che Quentin Tarantino sia un cineasta geniale, un maestro del taglia e cuci – anche se di pellicola - e un semplice collezionista seriale. In poche parole, un regista che ha fatto sua l’arte del copiare, un uomo assai fuori del comune… proprio come i suoi personaggi.