Piccola incursione nella vita di D.W. Griffith e nei 100 anni del suo “Intolerance”
Quando si parla della nascita del cinema viene subito alla mente il nome dei fratelli Lumiére o quello di Georges Méliès, creatore del genere fantastico. Ma, nonostante i loro meriti siano tuttora indiscutibili, colui che seppe trasformare il cinematografo in arte, spettacolo, e perché no, perfino in industria, fu lo statunitense David Llewelyn Wark Griffith, noto in tutto il mondo come D.W. Griffith.
Nato il 22 gennaio 1875 in una fattoria di La Grange (Kentucky), D.W. Griffith fin da bambino fu fortemente influenzato dai racconti del padre, un colonnello dell'esercito confederato eroe della Guerra di Secessione americana, e dalle letture fatte in famiglia delle opere di William Shakespeare e Walter Scott. La sua infanzia non fu però tutta rose e fiori. Costretto ad abbandonare gli studi all’età di 14 anni per aiutare la madre rimasta vedova con 7 figli a carico, iniziò a lavorare dapprima come aiutante in un negozio di tessuti, poi come commesso nella libreria Flexner di Louisville. Lì, circondato da centinaia di romanzi, D.W.G. divorò la crema della letteratura vittoriana: da Thackeray a Hardy, da Browning a Dickens. La passione per il teatro germogliò in lui proprio durante quegli anni, quando Louisville era il centro di un fiorente scenario artistico in cui orbitavano le grandi stelle teatrali di fin-de-siècle: Joseph Jefferson, Ada Rehan, John Drew, Richard Mansfield e la tempestosa Sarah Bernhardt.
Fu nel 1896 che il ventunenne di La Grange esordì come attore esibendosi con lo pseudonimo di Lawrence Griffith, ma non offrendo il Kentucky grandi possibilità lavorative decise di spostarsi in California, dove conobbe Linda Arvidson, che nel 1906 sarebbe diventata la sua prima moglie. Nel 1907 venne scritturato dalla Casa di produzione cinematografica American Mutoscope and Biograph Company per ricoprire piccoli ruoli, e nel 1908... la dea bendata lo baciò in fronte. Sì, perché proprio in quell’anno il regista Wallace McCutcheon si ammalò, e Griffith fu ingaggiato per girare al suo posto The Adventures of Dollie: nessuno avrebbe potuto prevedere che sarebbe rimasto alla Biograph per i successivi cinque anni, dirigendo circa 450 cortometraggi e spingendo l'azienda ai primi posti dell'industria cinematografica americana.
Le sue capacità di leadership furono da subito evidenti, e nel giro di un anno divenne il supervisore di tutte le produzioni della Biograph. In quel periodo, che vide nascere una delle più prolifiche e creative coppie della storia del cinema, quella composta dallo stesso D.W.G. e dal suo cameraman preferito GW "Billy" Bitzer, il regista rielaborò in forma compiuta alcuni degli elementi che avrebbero segnato la moderna cinematografia: il primo piano e il dettaglio; l’uso espressivo della luce e il campo lungo; il piano americano e la dissolvenza in apertura e chiusura; il montaggio alternato, noto come “ montaggio alla Griffith”, necessario per accrescere la tensione nello spettatore prima della scena finale, e il montaggio parallelo, che troverà la sua massima espressione nel film Intolerance.
Quella sua instancabile ricerca di un nuovo linguaggio cinematografico lo portò presto a mettersi alla prova con film più lunghi. Ora, è bene ricordare che già nel 1909 alcuni produttori americani avevano cominciato a realizzare film di più di un rullo, ma il rigido sistema della distribuzione permetteva di proiettare soltanto una parte di film a settimana. In Europa, dove vigeva invece un meccanismo distributivo più flessibile, le opere composte da più rulli erano frequenti, e una volta importate negli USA venivano proiettate nella loro interezza con una maggiorazione nel prezzo del biglietto. Verso la metà degli anni Dieci il lungometraggio sancì il definitivo declino dei cortometraggi e dei loro luoghi di proiezione, i "Nickelodeon", sale dotate di organetto o pianoforte a cui si poteva accedere pagando un nickel, ossia 5 centesimi. Fu in quell’epoca di transizione che, nel 1913, Griffith girò Judith of Bethulia, opera biblica di 60 minuti che, a causa del costo eccessivo, provocò le ire dei dirigenti della Biograph. Ispirato dai lungometraggi storici italiani, molto popolari anche negli Stati Uniti, come ad esempio Cabiria di Giovanni Pastrone, il filmaker si unì alla Reliance-Majestic di Hollywood dei fratelli Aitken, e nel 1915 diresse The Birth of a Nation 1915, uno dei film muti con il più alto incasso della storia. Tale lavoro, della durata di ben 160 minuti, rappresenta la summa delle innovazioni tecniche griffithiane, dove il rapporto tra interesse per la storia raccontata e immagini mostrate, propende decisamente per la prima: più che la nascita di una nazione… la nascita delle regole del cinema narrativo. Nonostante lo strepitoso successo, The Birth of a Nation, basato sulla ricostruzione romanzata di alcuni eventi della Guerra di Secessione americana, provocò roventi polemiche per il suo contenuto razzista, presente soprattutto nella seconda parte dell’opera.
Per Griffith fu un duro colpo, e la sua risposta a chi lo additò come xenofobo non tardò ad arrivare. Dopo la pubblicazione di un pamphlet in cui rivendicava la sua libertà di espressione politica, nel 1916 si dedicò alla realizzazione del suo lavoro più ambizioso: Intolerance. Prendendo spunto da un’epigrafe del poeta americano Walt Whitman, contenuta nel poema Out of the Cradle Endlessly Rocking, Griffith – aiutato alla regia da Erich von Stroheim, e alla sceneggiatura da Tod Browning, futuro creatore di quel capolavoro del 1932 che fu Freaks – costruisce un film sulle nefaste conseguenze dell’odio, della ferocia e dell’intolleranza, presenti nell’essere umano fin dagli albori della civiltà. Il film, che abbraccia circa 2500 anni di storia dell'umanità, è suddiviso in 4 racconti, distinti nei luoghi e nel tempo: il kolossal La Caduta di Babilonia, dove nel 539 a.c. Belshazzar, ultimo Re babilonese, si prepara a respingere l’attacco dell’esercito persiano condotto da Ciro il Grande; il religioso La Passione di Cristo, le cui scene rappresentano le Nozze di Cana, i farisei contro Gesù, e Maria Maddalena; il rinascimentale La notte di San Bartolomeo, che descrive gli avvenimenti che videro i cattolici coinvolti nella lotta con i protestanti nella Francia del 1572; il contemporaneo La Madre e la Legge, un dramma sociale ambientato in un quartiere operaio di New York. A fare da trait d'union fra gli episodi, il regista del Kentucky inserisce per 26 volte la sequenza di una donna velata (molto simile all’immagine della Vergine Maria) che dondola una culla mentre, sullo sfondo, tre anziane osservano immobili la scena: l’amore che tutto può, il tempo, e il fluire della Storia.
Costato l’esorbitante cifra di 2 milioni di dollari di allora, Intolerance venne prodotto dalla Triangle Pictures Corporation, fondata verso la fine del 1915 da D.W. Griffith, Thomas H. Ince e Mack Sennett: di fatto, per poter terminare il film vennero utilizzati tutti gli introiti ricavati con The Birth of a Nation! Inizialmente, dopo l’uscita di Nascita di Una Nazione il secondo lungometraggio doveva essere La Madre e la Legge, ma una volta terminate le riprese (Settembre 1915) Griffith decise di non farlo proiettare nelle sale e, archiviata l’opera nel cassetto del dimenticatoio, in Ottobre si dedicò a dirigere un film che narrava la mattanza degli Ugonotti avvenuta nel XVI secolo. Probabilmente l’idea di Intolerance doveva già ronzargli in testa, tant’è che tra il Novembre e il Dicembre 1915 realizzò un film sulla Passione di Gesù. Con l’ingresso del nuovo anno Griffith aveva ormai ben chiaro il suo grandioso progetto e, per ultimarlo, dal Gennaio all'Aprile 1916 girò l'episodio babilonese, rimettendo mano nel contempo anche ai capitoli già completati.
Tra operai, carpentieri, tecnici, attori e comparse, per la lavorazione furono assunte più di 60mila persone, un vero e proprio esercito guidato dalla mente creativa di Griffith che, al culmine del successo, volle stupire gli spettatori con mastodontiche scenografie, specialmente per La Caduta di Babilonia. Il palazzo di Belshazzar, complesso faraonico in cartapesta eretto ai margini di Sunset Boulevard, era contornato da otto enormi colonne di 70 metri d’altezza con grandiosi elefanti posti all’apice di ognuna di esse. La corte esterna della reggia aveva una profondità di 1600 metri, e soltanto nella scena del festino si contarono circa 5mila figuranti – retribuiti con 2 dollari al giorno, un cestino per la colazione e un rimborso per il viaggio in tram – perfettamente abbigliati con costumi dell’epoca (mescolato a quella moltitudine, anche Douglas Fairbanks). Per il trasporto, la ristorazione e l’organizzazione di quel gigantesco battaglione vennero montate numerose linee telefoniche e ferroviarie. Le fortificazioni della città di Babilonia, alte quanto un edificio di 4 piani, erano interamente percorribili, e in esse potevano incrociarsi addirittura due quadrighe. Quel monumentale complesso scenografico costrinse il povero Billy Bitzer, a quei tempi oltre che cameraman anche direttore della fotografia, ad effettuare le riprese a bordo di un pallone aerostatico mentre, appollaiato su una gru, il regista statunitense urlava al megafono le direttive per le panoramiche dall’alto più famose e indimenticabili della Settima arte. Ma Griffith non si limitò a far rivivere la sola Babilonia, e in un'area diversa fece ricostruire anche la Parigi del XVI secolo e la Gerusalemme dei tempi di Cristo. Nel 1919, dietro segnalazione dei vigili del fuoco di Los Angeles, l’intero palazzo reale di Belshazzar, ritenuto una possibile causa di futuri incendi, fu fatto purtroppo demolire.
Il 4 Agosto 1916 all’Orpheum Theater di Riverside, in California, venne organizzata un’anteprima di The Downfall of All Nations, or Hatred The Oppressor, diretto da un certo Dante Giulio: in realtà il film era Intolerance e il regista D.W. Griffith che, grazie a quell'escamotage, poté testare le varie reazioni in sala. Il debutto ufficiale ebbe luogo il 5 Settembre al Teatro Liberty di New York: “Fu uno spettacolo nello spettacolo. Lo scenografo di Griffith aveva trasformato il teatro in un tempio assiro, con incensi che bruciavano nel foyer adorno di sagome di legno e decorazioni di gusto orientale. Le mascherine erano vestite da sacerdotesse babilonesi, mentre gli uscieri esibivano smoking di raso rosso e nero. Per preparare la serata, Griffith visse praticamente nel teatro per 10 giorni di fila, controllando di persona non solo le prove dell’orchestra di 40 elementi e del coro, ma anche lo speciale sistema d’illuminazione appositamente ideato per proiettare sullo schermo varie sfumature di colore, e l’imponente carico di marchingegni per gli effetti sonori che, stando ai resoconti dei giornali, era così ingombrante da dover essere stipato nel retropalco del Liberty. Anche i proiezionisti furono impegnati 18 ore al giorno per mettere a punto le varie velocità richieste per sincronizzare il film con la musica e gli effetti sonori”. Russel Merritt (DWG Project 543).
Intolerance si convertì ipso facto in una delle produzioni più importanti e influenti della storia del cinema, dove l’uso pionieristico che Griffith fece del montaggio parallelo - mostrando appunto 4 storie in alternanza - se da un lato si rivelò come l’elemento innovativo più interessante, dall’altro apparve essere un espediente eccessivamente all’avanguardia per il pubblico dell’epoca. La gran parte degli spettatori, non preparata a seguire sia 3 ore di proiezione, che la complessità di più trame, finì infatti per perdersi nei meandri di un climax a lei non congeniale. In termini di incassi il risultato fu quindi un fallimento, per D.W.G. e la Triangle Pictures Corporation, un vero bagno di sangue. Va però detto che il flop economico del film fu essenzialmente imputabile non tanto all’accoglienza della critica, che si dimostrò moderatamente discreta, quanto agli eccessivi costi di produzione. Ma le scure nubi della Prima Guerra Mondiale, calate già da tempo sull’Europa, non aiutarono di certo il decollo del film, considerato esageratamente pacifista e per questo poco adatto alla propaganda bellica in voga in quel periodo. L’unico Paese del Vecchio Continente che seppe apprezzare il geniale lavoro di Griffith fu la Russia, dove i grandi nomi del futuro cinema d’avanguardia, come quello di Sergej Michajlovich Ejzenstejn, rimasero profondamente impressionati dall’abilità del cineasta americano.
Malgrado i molti debiti accumulati, D.W.G, insieme a Charlie Chaplin, Douglas Fairbanks e Mary Pickford, nel 1919 fondò la United Artists Corporation - una leggenda vuole che un produttore di allora, saputa la notizia, esclamasse: “I matti si sono impossessati del manicomio” - , un'operazione che non servì però a riportarlo in auge. Benché apprezzato come artista, Griffith non riuscì mai a scrollarsi di dosso quell’etichetta di razzista affibbiatagli nel 1914 e, pur continuando a dirigere numerosi film, non raggiunse più il successo. Nel 1931 abbandonò definitivamente il mondo del cinema e, complice la sua passione per l’alcool, sperperò in breve tempo il poco denaro rimastogli. Abbandonato da tutti, anche dalla seconda moglie, si spense nella sua amata Hollywood, per emorragia cerebrale, in una calda notte del 1948.
Quali che siano state le reali idee politiche di Griffith, resta il fatto innegabile che Intolerance è diventato nel tempo una pietra miliare della storia del cinema: uno spettacolo che a 100 anni di distanza non ha ancora finito di stupire.