Clementino presenta il ciclo Cinema e Rap su Studio Universal
“Il rap mi ha salvato la vita, altrimenti non ho idea di dove sarei andato a finire. Io vengo dal centro della “terra dei fuochi” e ho fatto l’animatore turistico per tredici anni, quindi, ero tutto tranne che rap. Fortunatamente, non ho alle spalle una di quelle tristi storie con madre alcolizzata in casa, in quanto i miei genitori sono da quarant’anni attori amatoriali di teatro. Il mio possiamo dire che è stato più un disagio psicologico legato al posto in cui sono cresciuto e dove ho visto morire per tumore diverse persone. Dei big mi hanno dato una grossa mano Jovanotti, Fabri Fibra e Pino Daniele, il quale diceva che noi rapper eravamo il nuovo napoletan power. Poi, però, senti la sua frase “Je so’ pazzo nun nce scassate ‘o cazzo” e capisci che si tratta di rap puro”.
Il Pino Daniele insieme a cui rivela di aver anche registrato un brano rimasto ancora inedito il rapper napoletano Clementino (pseudonimo di Clemente Maccaro), il quale parla alla stampa romana del ciclo Cinema & rap, che, a partire dal 5 Luglio 2016, ogni martedì alle ore 21.00 lo vedrà impegnato a presentare su Studio Universal un film dedicato al genere musicale che ha reso famosi Eminem e Snoop Dogg, rientranti proprio tra i suoi maggiori punti di riferimento, insieme a Notorious B.I.G. e 2Pac.
Quattro film, per la precisione, da Get rich or die tryin’ di Jim Sheridan a Hustle & flow – Il colore della musica di Craig Brewer, passando per Black and white di James Toback ed 8 mile di Curtis Hanson, che il musicista annovera proprio tra i suoi tre lungometraggi preferiti del filone, insieme a Straight Outta Compton di F. Gary Gray e Pensieri pericolosi di John N. Smith.
Mentre dei titoli italiani ricorda Zora la vampira dei Manetti Bros e Zeta di Cosimo Alemà, nel quale ha anche recitato, oltre a dichiarare: “Mi piacerebbe collaborare con IZI, protagonista del film, ma anche con Neffa, Carmen Consoli e Manu Chao, con cui sono stato a pranzo a Molfetta ed è una persona umilissima. Inoltre, vorrei condurre una trasmissione televisiva tutta mia, magari insieme a Rosario Fiorello, che recentemente ha detto di sentirsi molto vicino a Napoli e a me”.
E, oltre a definire il proprio rap “Black Pulcinella”, a causa delle diverse influenze africane, precisa che è attualmente in giro con la tournée di Ultimo round, album che chiude la trilogia del Miracolo di cui è ora uscita una versione deluxe; osservando, tra l’altro, che le istituzioni dovrebbero fare qualcosa per creare più spazi destinati ai concerti: “Una canzone non può salvare l’Italia, ma, almeno, per tre minuti può far pensare a qualcosa. Io credo che il messaggio sia lo stesso in qualsiasi lingua. Dalle nostre parti ancora non è scoppiato l’hip hop perché il nostro è un paese nostalgico, legato ai vecchi cantanti, anche se ora, forse, qualcosa si è mosso. Il nostro rap è diverso da quello americano dell’oro e dei macchinoni, perché può parlare di riscatto sociale e tematiche importanti. Un rapper può anche andare a Sanremo, l’importante è che i suoi testi parlino di argomenti come l’opposizione alla violenza sulle donne e gli animali”.
Ma crede anche che ad un rapper occorrano molti anni di gavetta per poter ricoprire il ruolo di giudice in un talent show, ricordando che ha iniziato la propria carriera cantando nei centri sociali e dormendo nel loro retro... molto tempo prima che cominciasse a bastare premere il telecomando per trovarlo sui nostri piccoli schermi a parlare di Settima arte.